Papa Bergoglio, Parlamento, sorteggio Champions: rassegna stampa e prime pagine

di Redazione Blitz
Pubblicato il 15 Marzo 2013 - 09:19 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – I primi gesti umili del Papa. Il Corriere della Sera: “Francesco paga il conto alla «Casa del clero» e sceglie di non sedersi sul trono Eletto con più di 90 voti, il ruolo della Curia. I lombardi non hanno sostenuto Scola.”

Il Papa che paga il conto e rifiuta l’auto blu. L’articolo a firma di Gian Guido Vecchi:

“«Bisogna uscire, andare verso chi ha bisogno, annunciare il Vangelo nelle periferie». Quando Francesco si rivolge per la prima volta ai cardinali è ancora la sera dell’elezione, a cena nella Domus Sanctae Martae si è sciolta la tensione del Conclave, gli elettori intonano un «tanti auguri a te» e Jorge Mario Bergoglio sorride, «che Dio vi perdoni!». Il nuovo Papa, salutato il «popolo» dalla loggia di San Pietro, è sceso, ha respinto con un gesto la berlina scura targata SCV1 — la targa più esclusiva del pianeta, quella del Pontefice — ed è salito assieme ai cardinali sul pullmino che nei due giorni di Conclave ha fatto da navetta tra la Sistina e l’albergo vaticano. Uscire, muoversi. La frase riportata dal cardinale Fernando Filoni, «ci ha detto che l’evangelizzazione suppone zelo apostolico», è solo la premessa a ciò che Francesco dirà nella Sistina, nell’omelia della messa «pro Ecclesia» celebrata ieri pomeriggio, come da tradizione, nel luogo dell’elezione. Per tradizione il Papa dovrebbe anche pronunciare un’«allocuzione» in latino, di solito preparata nella notte dagli uffici. Francesco, invece, parla a braccio in italiano. E dice che bisogna muoversi, «chiedo che tutti noi abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore», perché «quando non si cammina, ci si ferma» e «quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo». Poi resta in piedi sorridente, anziché sedersi sulla «sedia del Papa», per ricevere l’omaggio dei cardinali.”

Quello stemma cardinalizio al quale potrebbe rinunciare. L’articolo a firma di Luigi Accattoli:

“Avendone pietà lo scelse»: potrebbe essere tradotto così il motto che compare sullo stemma di papa Francesco, «miserando atque eligendo». È un richiamo alla «compassione» insegnata da Gesù nei Vangeli ed è l’elemento più significativo dello stemma del cardinale Bergoglio, che forse diventerà domani lo stemma del nuovo Papa, se Francesco non deciderà di rinunciare ad avere uno stemma, in coerenza con le semplificazioni che è venuto facendo nelle prime apparizioni pubbliche dopo l’elezione. L’anima dello stemma — cioè il motto latino «miserando atque eligendo» — è preso dall’Homilia 21 di san Beda il Venerabile (monaco vissuto in Inghilterra tra il settimo e l’ottavo secolo), che i sacerdoti trovano nelle letture del breviario alla data del 21 settembre, nella festa di san Matteo apostolo, scelto da Gesù come suo apostolo benché fosse un pubblicano, perché Gesù «lo guardò con sentimento di amore e lo scelse», cioè gli disse: «Seguimi». È dunque un richiamo alla misericordia di Dio verso i peccatori e alla compassione che i cristiani devono avere verso ogni creatura: e questo è un elemento tipico dell’impegno verso ogni tipo di bisogno umano che caratterizza la predicazione dell’arcivescovo Bergoglio.”

L’accordo che ha portato oltre 90 voti. L’articolo a firma di M.Antonietta Calabrò:

“Nella messa «pro ecclesia» celebrata nella Cappella Sistina alla presenza dei 114 cardinali elettori, al momento dello scambio della pace, papa Francesco abbraccia affettuoso il cardinale Giovanni Battista Re, che in Conclave ha fatto le veci di decano, e il segretario di Stato Tarcisio Bertone. È il fermo-immagine di come sono andate le cose durante le votazioni ventiquattrore prima, sempre sotto la volta del Giudizio Universale, dipinta da Michelangelo. Alla quinta votazione, rapidamente, si è arrivati a oltre 90 consensi su un collegio di 115 cardinali. Il cardinale elettore irlandese Sean Brady l’ha detto chiaramente: «Sono rimasto sorpreso che il consenso tra i cardinali sia stato raggiunto così presto». Così presto e così massicciamente. Comunque, ben oltre la soglia dei 77 voti fissati dalla riforma di papa Benedetto XVI per dare maggiore coesione e unità alla scelta del Pontefice (corrispondente ai due terzi degli elettori). Soglia superata la quale è scattato l’applauso per il nuovo Papa.”

Povertà e diritti civili, la linea del Papa. L’articolo a firma di Paolo Conti:

“Il segnale più forte, in una contemporaneità assillata dal rumore costante e dalle immagini che ti inseguono, è stata la sua richiesta di pregare in silenzio per mezzo minuto: chinato, occhi chiusi. Piazza San Pietro muta, immobile. «Impressionante», per monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Centro Televisivo Vaticano. Ma chi conosce gli «Esercizi spirituali» di Sant’Ignazio di Loyola sa bene che il silenzio è requisito essenziale «per l’azione dello Spirito Santo». Anche in mondovisione e davanti a 150 mila persone. Passano le ore, e Papa Francesco svela, con gesti e scelte, come sarà il suo Pontificato. Ormai chiara a tutti l’insistenza sul titolo di vescovo di Roma, non di Papa, un richiamo alla collegialità tra pastori di anime: eletto, ha ricevuto l’omaggio dei cardinali in piedi, non sul trono. Ed è tornato con i «colleghi» in pulmino alla Domus Santa Marta. Altro esplicito programma la lettera inviata al Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni: confida la speranza di «poter contribuire al progresso che le relazioni tra ebrei e cattolici hanno conosciuto a partire dal Concilio Vaticano II, in uno spirito di rinnovata collaborazione». Eloquente il fatto che sia stato papa Francesco a scrivere per primo, senza attendere il tradizionale messaggio di auguri. In quanto all’Islam, la scelta del nome Francesco rimanda al santo di Assisi che incontrò il Sultano di Egitto Malik al Kamil senza nulla cedere alla certezza della sua fede, in uno spirito di confronto e conoscenza reciproca.”

I gesuiti, tra cultura e disciplina. L’articolo a firma di Armando Torno:

“Parliamo di gesuiti, della Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola nel 1534. Papa Francesco ha riportato l’attenzione su questo Ordine, strutturato con disciplina militare e celebre per la cultura e l’intelligenza dei suoi membri. Anche se nel linguaggio comune — retaggio del secolo dei Lumi e di quello romantico nonché dell’avversione di figure come Vincenzo Gioberti — l’aggettivo «gesuitico», in senso figurato, è definito dal Vocabolario della lingua italiana Treccani: «finto, falso, ipocrita». Eppure i gesuiti hanno lasciato traccia indelebile nella cultura e nella Chiesa. Il tema in classe l’hanno inventato nelle loro scuole, così come gli esercizi spirituali si sono diffusi nel mondo attuale grazie al modello fissato da Sant’Ignazio. L’incontro con le altre culture fa parte della loro missione. Lo stesso Francesco Saverio, tra i fondatori della Compagnia, nel 1545 parte per Malacca, in Malaysia: lì incontra dei giapponesi che gli suggeriscono l’idea di portare il vangelo nella loro terra. Non arretra, così come farà in tante occasioni, e una tradizione vuole che sia arrivato alle Filippine. È sepolto a Goa. Matteo Ricci fu pioniere del dialogo con la cultura cinese. Morì a Pechino. E che dire di Francesco Borgia? Viceré di Catalogna, santo, resta il formidabile organizzatore delle missioni dell’Ordine in India, Brasile e ancora in Giappone. Tra l’altro, la cultura gli deve molto: contribuì in modo determinante all’istituzione del Collegio Romano, ovvero l’attuale Università Gregoriana. Non sono che esempi. Se si aggiunge il caso del cardinale Roberto Bellarmino (1542-1621), si incontra un intellettuale che in molti hanno criticato ma indispensabile per comprendere il suo tempo. Formidabile apologeta, difese la Chiesa Cattolica dinanzi alla Riforma ricorrendo soltanto alla razionalità e alla tradizione; di contro, in Germania e in Inghilterra si istituirono cattedre per replicare a tale metodo. Amico di Galileo, dialogò con Giordano Bruno tentando di fargli abiurare le tesi considerate eretiche. Inoltre, quando si parla di cultura dei gesuiti è inevitabile ricordare Francisco Suárez o Juan de Mariana, due menti della cosiddetta Seconda Scolastica, vissuti tra il Cinquecento e il Seicento. Il secondo divenne celebre per le polemiche legate alla sua opera De rege et regis institutione (1599), ove sosteneva la liceità del tirannicidio: si poteva uccidere il re quando il sovrano, abusando del potere concessogli da Dio, danneggiava patria, leggi e religione, ovvero portava a perdizione il popolo. L’opera fu condannata dai superiori ma lasciò tracce indelebili, a cominciare dalla Rivoluzione francese; anzi «la Marianne», simbolo della libertà, fu omaggio tardivo al gesuita ispiratore. Per Suárez si potrebbero riempire biblioteche. Filosofo, teologo e giurista tra i più acuti, influenzò le opere di autori quali Grozio, Cartesio, Leibniz e Vico, senza contare gran parte dei pensatori politici moderni, tra cui Carl Schmitt. Sosteneva che il potere ha un’origine contrattuale (il detentore originario è il popolo) e, in caso di tirannide, è lecito — se non doveroso — il diritto di resistenza.”

Nessuna presidenza. Il Parlamento riparte nel caos. La Stampa: “Il M5S fa muro. Crimi a Letta: “Votarvi sarebbe un suicidio” Il Pd guadagna un giorno di trattative con la scheda bianca.” L’articolo a firma di Ugo Magri:

“Il Parlamento riapre in stato confusionale. Nessuno ha idea di come potrà nascere il governo, condizione per non tornare alle urne. Ma senza proiettare lo sguardo avanti (se ne occuperà Napolitano dalla prossima settimana), una fitta nebbia avvolge i passaggi più immediati, che consistono nella scelta dei presidenti di Camera e Senato. Bersani sperava di intavolare con Grillo qualche forma di negoziato, concedendo per esempio lo scranno più alto di Montecitorio al M5S in cambio di un appoggio grillino al candidato Pd per Palazzo Madama (in pole position la Finocchiaro). Ci contava perché da cosa potrebbe nascere cosa, se il confronto decolla chissà dove può portare… Invece niente. Da Grillo zero aperture, semmai qualche ulteriore provocazione. Come la sfida a tagliare gli stipendi dei parlamentari Pd, massimo 2500 euro netti al mese (più benefit) come hanno già fatto quelli a Cinque stelle. Di trattare non se ne parla, tantomeno sulle poltrone. Pare che ben cinque volte il telefono del capogruppo Crimi sia suonato, e per altrettante volte il vicesegretario Pd Letta si sia sentito rispondere che uno scambio sulle presidenze «sarebbe un suicidio». A sera, Grillo ha messo sul suo blog un intervento del costituzionalista Becchi, il quale esorta a «non ascoltare le sirene Pd». piuttosto «meglio un salto nel buio».”

La tentazione di Monti: pronto a guidare il Senato. L’articolo a firma di Fabio Martini:

“Non se l’aspettava nessuno: si è proposto anche Mario Monti. A poche ore dall’inizio delle votazioni per i Presidenti delle due Camere, la «quadra» non si è ancora trovata anche per effetto di una sorpresa che ha spiazzato tutti: il presidente del Consiglio ha fatto sapere al Pd e al Pdl di essere disponibile per la presidenza del Senato. Una disponibilità che ha preso in contropiede gli sherpa che si stanno affannosamente aggirando nei Palazzi romani soprattutto per un motivo: una presidenza Monti a palazzo Madama era stata da scartata a priori da tutti per la più ovvia delle controindicazioni: Monti è presidente del Consiglio e dunque è logicamente e «fisicamente» impossibilitato ad assumere la presidenza del Senato. E qui è scattata la seconda sorpresa: secondo il parere di alcuni giuristi sarebbe possibile che il presidente del Consiglio, in carica per gli affari correnti, lasci l’interim della guida del governo ad un suo ministro, nel caso specifico Anna Maria Cancellieri, titolare dell’Interno. Una ipotesi che allenterebbe l’effetto rete di protezione garantito da una presidenza Monti e che, da quel che si sa, avrebbe suscitato una informale perplessità al Quirinale. Ma trattandosi di trattative sotto traccia, prive di qualsiasi formalità, per il momento non sono ricercati né richiesti pareri costituzionali né valutazioni istituzionali.”

Grillo: il Pd si tagli le indennità. L’articolo a firma di Marco Bresolin:

“Dopo i rimborsi elettorali, l’indennità dei parlamentari. La lingua di Beppe Grillo batte sempre lì, dove il dente di Pier Luigi Bersani duole: i costi della politica. Tre giorni dopo l’invito «Bersani firma qui», arriva «Bersani falli firmare»: l’iniziativa per chiedere a deputati e senatori del Pd di tagliarsi lo stipendio come annunciano di fare i loro colleghi grillini. Di più: «I parlamentari che decideranno di autoridursi lo stipendio saranno menzionati sul blog». «L’indennità parlamentare del cittadino portavoce del MoVimento 5 Stelle – scrive Grillo sul suo blog – sarà di 5 mila euro lordi mensili invece di 11.283 euro lordi percepiti da tutti gli altri parlamentari». Ad essere precisi, l’importo dell’indennità è leggermente inferiore (10.435 euro alla Camera e 10.385,31 al Senato). Poco cambia, quel che è certo è che l’indennità netta dei grillini sarà di 2.500 euro contro i 5 mila dei loro colleghi.”

Ferrari: “Io assessore? Sono lombarda e credo nella macroregione”. L’intervista a firma di Fabio Poletti:

“Mica facile fare la nuova Giunta in Lombardia. Il governatore Roberto Maroni e il presidente del Pdl Silvio Berlusconi ci stanno provando con il bilancino da giorni, per scontentare nessuno. I posti sono quelli che sono. I candidati assessori molti di più. Tra i nomi in pole position c’è pure Paola Ferrari, la bionda conduttrice della Domenica Sportiva. Signora Paola Ferrari niente fumata bianca… «Diamoci del tu che siamo colleghi… Diciamo che qualche interessamento concreto c’è e lo stiamo vagliando da entrambe le parti. Sono molto orgogliosa che abbiano pensato a me, una donna emancipata ma anche una mamma. Proprio oggi ho incontrato il presidente del Coni Giovanni Malagò come portavoce dell’Osservatorio bullismo e doping. Sono impegnata nel sociale, la poltrona non mi interessa, non sono nemmeno una politica di professione». Veramente nel 2010 ti sei candidata alla Camera nel Lazio per La Destra di Francesco Storace e Daniela Santanchè, ora si dice sia la tua sponsor… «L’ho fatto solo quella volta per essere vicina a Daniela un’amica e una persona che stimo. Volevo solo farle sentire il mio appoggio. Tanto sapevo che non mi avrebbero eletto. E poi io non sono una che cerca con questi mezzi di avere dell’esposizione personale. Dopo trent’anni di televisione non ne ho proprio bisogno».”

Avanti il prossimo. Juve, i pericoli sono Barcellona, Bayern e Real Ma i bianconeri fanno paura ai fenomeni catalani. L’articolo a firma di Massimiliano Nerozzi:

“Ai piedi dell’urna che oggi darà alla Juve il prossimo nemico di Champions, la prima regola è la scaramanzia, se i bianconeri spediranno a Nyon la stessa formazione che agli ottavi pescò il Celtic: alle porte di Ginevra andranno il direttore commerciale Francesco Calvo e il segretario generale Maurizio Lombardo, con identico seguito, ufficio stampa compreso. Squadra che vince non si cambia. La seconda regola è la speranza, la stessa per tutti, dai tifosi all’ad Beppe Marotta: «Tre da evitare». Ovvero, Barcellona, Real Madrid e Bayern Monaco. La Juve se la giocherebbe comunque, ma è chiaro che sarebbe sfida impari. Al di là del prato, bastano i fatturati: Real 512,6 milioni, Barça 483, Bayern 368,4, contro i 195,4 dei bianconeri. Per non parlare del monte ingaggi: quelli delle spagnole, il doppio dello juventino. Se i soldi non fanno una squadra vincente, aiutano.”