Roma-Lazio: i soliti scontri prima, i soliti articoli dopo

di Redazione Blitz
Pubblicato il 12 Aprile 2013 - 08:20| Aggiornato il 7 Gennaio 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Roma-Lazio, 8 aprile 2013. Sul campo è finita 1-1, fuori dallo stadio il bilancio è di otto “puncicati” e quattro arrestati. I soliti scontri, si sono detti in molti. E i soliti articoli del giorno dopo: moralismi un tanto al chilo, tifosi buoni vs tifosi cattivi, elogio del “modello inglese”, intercalare pieno di “mai più”, inni agli stadi di proprietà… In un clima di “mandate i carrarmati” non è un’estremista di sinistra ma il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro a ricordare che siamo pur sempre in uno Stato democratico e che non si può militarizzarne la Capitale. Un articolo ragionato e fuori dal coro, che cerca di mettere a fuoco fatti e contesto è quello che ha scritto Stefano Olivari per il Guerin Sportivo:

“Il Roma-Lazio di lunedì scorso potrebbe essere ricordato come l’ultimo derby della Capitale ad essere giocato di sera, anche se a onor del vero la stessa cosa si era detta anche negli anni scorsi. Dal prefetto Pecoraro all’ultimo poliziotto in servizio all’Olimpico e dintorni tutti d’accordo, pensando anche alla possibile finale tutta romana di Coppa Italia.

Un po’ meno d’accordo Sky e Mediaset Premium, con le decine di milioni che ogni anno passano a Roma e Lazio, oltre che RaiSport che la finale di Coppa Italia gradirebbe trasmetterla di sera. Mentre il tifo è diviso, fra chi rimpiange i bei tempi andati delle partite tutte alle 14 e 30 e chi vorrebbe spalmate le 10 gare di serie A in 10 orari diversi.

Gli accoltellamenti di lunedì sera a Ponte Milvio ma non solo, complici il buio (non in tutti i casi, visto che certi episodi sono avvenuti con il chiaro) e la confusione, possono generare il solito articolo contro gli ultras del calcio e il calcio in generale, con magari a supporto l’editoriale cialtrone sullo stadio di proprietà, gli steward, eccetera, quando quasi tutto il peggio è avvenuto e avviene nei dintorni degli stadi.

Diamolo per fatto, questo articolo, passando all’unicità della situazione romana. Rispetto ad altre grandi città, ma anche a centri di provincia, Roma ha una peculiarità: una parte notevole (almeno un terzo) dei suoi ultras non è inquadrata in organizzazioni, club o sigle particolari. Si tratta, in altre parole, di cani sciolti: piccole bande incontrollabili e che operano in maniera del tutto indipendente fra di loro.

Situazione che rende difficili i controlli preventivi, magari agendo sui capi delle curve: secondo le forze dell’ordine ma anche secondo la realtà i leader delle curve romane controllano solo una parte del tifo. È vero che qualcuno aveva annunciato le sue prodezze su Facebook, ma è anche vero che non si può andare dietro ad ogni mitomane o, per citare Lotito, mettere un carabiniere accanto a ogni tifoso.

Più classificabile la curva laziale, più fluida la situazione in quella romanista, una cosa è certa a Roma come a Napoli o a Milano: questi accoltellatori (o “puncicatori” che dir si voglia) sono sì tifosi, quindi non vale la scusante del tipo “gente che nulla ha a che fare con il calcio”, ma non hanno bisogno di un pretesto calcistico per fare danni. Insomma, nessun rigore dubbio e nessun gol in fuorigioco. Tanto meno giornalisti che non “abbassano i toni”, come si sente dire a volte. La cosa che ci ha maggiormente colpito, tutte le volte in cui abbiamo parlato con ultrà duri e puri, è proprio questa: sono fissati con episodi e scontri del recente passato, presunte “infamie” dei rivali (la peggiore è parlare con polizia o stampa, come si è visto anche da certi striscioni nell’ultimo derby milanese), qualcuno anche con imprecisati e imprecisabili codici d’onore.

Nessuno, ma proprio nessuno, che usa gli argomenti del tifoso in canottiera e telecomando: il complotto, gli arbitri, il calciomercato, eccetera. Bisogna guardare in faccia la realtà, che è quella di una violenza senza causa e quindi senza possibilità di essere prevista. Non è un mistero che ogni ministro dell’Interno, al di là delle differenti posizioni politiche, dopo un periodo di ambientamento ha sempre attuato la stessa politica: lavorare (senza dirlo in conferenza stampa, ovvio), perché gli ultras si compattino, invece che per sciogliere i loro club. E nel frattempo distribuire Daspo a raffica, in maniera di sicuro non garantista e spesso pescando a caso nel mucchio.

Conclusione: risparmiamoci la retorica sul disagio delle periferie, ma impariamo a considerare questi incidenti un sottoprodotto inevitabile della società di oggi. C’è una parte di proletariato ormai marcia e disillusa, che si chiama fuori da ogni regola e si salda con una parte di borghesia livorosa e manesca. Una realtà che non è stata creata da Pallotta e Lotito”.