Tagli, Berlusconi-Alfano, Ue contro Berlino: rassegna stampa del 14 novembre

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Novembre 2013 - 09:05 OLTRE 6 MESI FA
la stampa

La Stampa del 14 novembre

ROMA – Ora l’Europa accusa Berlino. Il Corriere della Sera: “Indagine della Commissione europea sulla Germania per il surplus delle esportazioni: frena la crescita degli altri Paesi. Richiamo all’Italia su debito pubblico e competitività.”

L’Europa processa la Germania: surplus commerciale troppo alto. L’articolo a firma di Ivo Caizzi:

La Commissione europea ha aperto una indagine sulla Germania per gli squilibri macroeconomici provocati dagli eccessivi surplus delle esportazioni. Esaminando 16 Paesi membri, ha rilanciato anche molte criticità dell’Italia, tra cui l’alto debito pubblico, l’impoverimento di ampie fasce della popolazione, la minore competitività dell’export, l’aumento della disoccupazione e l’alta tassazione sul lavoro. Specifiche valutazioni di Bruxelles sulla legge di bilancio italiana sono attese per domani. Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, che da oggi partecipa alla due giorni dell’Eurogruppo/Ecofin a Bruxelles, ha anticipato l’arrivo per incontrare il vicepresidente della Commissione, il finlandese Olli Rehn, preoccupato per l’eccesso di emendamenti alla legge di Stabilità, rassicurandolo sul rispetto dei saldi previsti.

Il presidente della Commissione europea, il portoghese Josè Manuel Barroso, e Rehn hanno cercato di attenuare la clamorosa rilevanza politica del richiamo alla Germania, che è in linea con recenti critiche arrivate dall’interno dell’Ue e dagli Stati Uniti. Dal 2007 l’export tedesco ha un avanzo delle partite correnti del 6% rispetto al Pil. Nel settembre scorso è diventato il primo al mondo superando quello della Cina. A Bruxelles e a Washington molti ritengono che questo squilibrio macroeconomico della Germania vada corretto ridimensionando il peso dell’export nell’economia nazionale e aumentando i consumi dei tedeschi. Secondo il Tesoro Usa, l’eccessivo surplus determina «una propensione alla deflazione nell’eurozona e nell’economia globale». «Un elevato surplus non significa necessariamente che c’è uno squilibrio — ha prudentemente precisato Barroso —. Dobbiamo esaminare bene la questione e capire se l’elevato avanzo tedesco danneggi il funzionamento dell’economia europea». Significativo appare anche il richiamo della Commissione sulla necessità di «ulteriori misure» per consolidare il sistema bancario tedesco, nonostante gli enormi aiuti di Stato finora impiegati. Il risultato della verifica di Bruxelles è atteso il prossimo anno. Da un punto di vista politico chiarirà la disponibilità di Berlino a tenere conto di richiami Ue in genere usati per fare pressione sui Paesi del Sud e per tutelare lo sviluppo dell’economia tedesca. Al momento la Germania sostiene di aver già notevolmente ridotto il suo surplus con la zona euro.

Berlino in collera «Noi Troppo bravi, Ue incomprensibile». L’articolo a firma di Paolo Lepri:

Una Germania «in collera» ascolta i rimproveri europei. Josè Manuel Barroso e Olli Rehn si affannano a spiegare che la decisione della Commissione di mettere sotto osservazione, dalla stazione di Bruxelles, la locomotiva tedesca, non deve essere interpretata «politicamente». Sarà così, forse, ma è anche vero che quando il maestro viene allontanato dalla cattedra, sia pure provvisoriamente, niente può essere più come prima. L’impressione è che i tedeschi si fossero abituati da tempo a pensare che le regole potessero non essere uguali per tutti. Anzi, in un documento preparato dai collaboratori del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble — convinto già per conto suo che le preoccupazioni sullo squilibrio commerciale tedesco fossero «incomprensibili» — si sosteneva che il governo Merkel andava elogiato, e non biasimato, per aver fatto camminare con le sue esportazioni le economie della zona euro. L’osservazione principale degli esperti del fortino di Wilhelmstrasse, come ricorda «Der Spiegel», riguarda il dimezzamento del surplus tedesco nei confronti dei partner dell’eurozona tra il 2007 e il 2012. È aumentato invece quello con gli Stati Uniti e le altre aree mondiali, come del resto ha riconosciuto ieri anche lo stesso Barroso. In ogni caso, non si può impedire a nessuno di comprare le merci «made in Germany», dicono i collaboratori del vecchio leone cristiano-democratico. «La forza dell’export è un pilastro del nostro benessere», ha avvertito uno dei vari politici che hanno respinto ieri le critiche dell’Ue, il segretario generale della Cdu Hermann Gröhe.

Letta ottimista: nel 2014 ripresa a portata di mano. L’articolo a firma di Roberto Bagnoli:

«La ripresa economica nel 2014 è a portata di mano e serve fiducia per far girare di nuovo l’economia e riavviare i consumi». Il presidente del Consiglio Enrico Letta menziona i dati di Moody’s che migliorano le stime sull’Italia e invita tutti a una iniezione di ottimismo anche «se questi dati per ora non si vedono e non si toccano, prevalgono quelli sulla disoccupazione e le imprese che chiudono». Mentre in Senato procede l’analisi degli emendamenti alla legge di stabilità — bocciati 600, compreso quello per innalzare da 8 a 12 mila euro l’area della no tax area, ammessa invece la proposta Mucchetti per abbassare al 15% la soglia dell’Opa — il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni è volato a Bruxelles dove ieri sera si è incontrato con il vicepresidente Ue Olli Rehn per tranquillizzare gli sceriffi comunitari preoccupati per l’alto numero di emendamenti alla manovra, mentre il ministro per i Rapporti col Parlamento, Dario Franceschini, diceva: «Non penso ci sarà bisogno del voto di fiducia per approvare la legge di Stabilità».

A peggiorare il quadro macro economico i dati trasmessi ieri dalla Banca d’Italia che fotografano il debito pubblico in lenta ma costante crescita: a settembre si è portato a 2.068 miliardi, 8 in più rispetto ad agosto. Siccome la crisi morde e le aziende chiudono, Bankitalia ha purtroppo certificato un visibile calo delle entrate fiscali che — sempre a settembre — sono scese a 21,455 miliardi dai 22,579 del settembre 2012. Un po’ di ossigeno arriverà dall’Agenzia delle Entrate che ieri ha annunciato il rimborso Iva per un miliardo di euro a circa 4 mila imprese. Anche di tutto questo si parlerà nel corso del vertice di oggi dell’Eurogruppo, e domani dell’Ecofin.

La guerra Telecom come un grande romanzo criminale. L’articolo del Fatto Quotidiano a firma di Giorgio Meletti:

Ifatti sono quelli che sono. E costringono a parlare della grande guerra di potere su Telecom Italia con il linguaggio della cronaca criminale. Ieri mattina gli ispettori della Consob (l’Authority che vigila sulle società quotate in Borsa) hanno fatto irruzione negli uffici di Milano e di Roma del gruppo telefonico. E per garantirsi l’efficacia del blitz (servono sorpresa e simultaneità) hanno chiesto rinforzi a plotoni della Guardia di Finanza. La visita è destinata a durare settimane: saranno passati al setaccio migliaia di documenti, sia cartacei che digitali; saranno svuotati i cassetti ma anche le memorie dei pc dei dirigenti; saranno acquisite tutte le email degli ultimi mesi.

Intanto a Roma il procuratore aggiunto Nello Rossi ha aperto un fascicolo su Telecom. La notizia spiega il clima. Basti pensare alle parole pronunciate il 26 settembre scorso dal presidente della Consob, Giuseppe Vegas. Tre giorni prima Assicurazioni Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo avevano ceduto alla spagnola Telefónica il controllo di Telco, la scatola che contiene il 22,5 per cento delle azioni Telecom e il controllo di fatto della società. “Il punto è capire se l’impresa funzionerà meglio o se sarà cannibalizzata”, disse Vegas. La parola chiave è dunque “cannibalizzata”, che fa seguito a “spolpata”, in voga negli scorsi anni. E dietro di essa si allineano le indagini in corso, ma anche la battaglia di Marco Fossati, azionista con il 5 per cento, che ha innalzato il vessillo delle minoranze offese.

GLI UOMINI della Consob vogliono verificare innanzitutto l’operazione di passaggio del comando a Telefónica. Perché gli spagnoli accettano di pagare ai tre soci italiani un prezzo di un euro per azione quando la quotazione al listino è 60 centesimi? Stanno pagando il prezzo del controllo? E dunque Telco controlla di fatto Telecom? E, se sì, perché non consolida l’ingente debito di Telecom, pari a 28 miliardi netti? Se quest’ultima domanda può sembrare molto tecnica, basta tradurla così: com’è possibile che si comandi su un colosso che vale in Borsa 11 miliardi di euro con un investimento di qualche centinaio di milioni?

Riina: “Nino Di Matteo e quei pm devono morire”. L’articolo del Fatto Quotidiano a firma di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza:

Dal carcere di Opera, dove è rinchiuso da vent’anni, Totò Riina impreca: “Nino Di Matteo deve morire e con lui tutti i pm della trattativa”, ma il procuratore di Palermo Francesco Messineo mette in guardia: lo sfogo del boss, reso noto ieri da Repubblica, può rappresentare un alibi perfetto per chi volesse pianificare un attentato a Palermo, facendo ricadere la colpa su Cosa nostra.

“Nelle minacce di Totò Riina – dice Messineo – c’è una specie di copertura ideale per le azioni violente fatte da soggetti diversi da Cosa Nostra”. E questo perché, dopo la pubblicazione delle parole del capo dei capi, “le conseguenze processuali si orienterebbero necessariamente su Cosa Nostra, lasciando occulta la responsabilità di altri soggetti”.

LA PAURA di un ennesimo “botto” a Palermo, insomma, torna a surriscaldare i corridoi della procura. Messineo si definisce “molto preoccupato e allarmato” perché nelle minacce di Riina a Di Matteo “abbiamo letto quasi l’intenzione di chiedere ai suoi di attivarsi per azioni violente”. Ma la possibile chiamata alle armi del capo corleonese non è l’unico allarme che nelle ultime ore fa fibrillare il cuore dell’intelligence antimafia.

Per la prima volta, denunciando il rischio di un ritorno allo stragismo, la Procura di Palermo lascia trasparire il timore che “entità esterne” a Cosa Nostra possano avere un ruolo nella realizzazione di una nuova strategia della tensione, puntata contro i pm della trattativa: oltre a Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.

L’ALLARME scatta giovedì scorso quando, dopo aver ascoltato i pentiti Giovan Battista Ferrante e Francesco Onorato, citati nel processo sul negoziato tra mafia e Stato, Riina si abbandona a un momento di rabbia: “Questo processo mi fa impazzire. Di Matteo deve morire, e con lui tutti i pm della trattativa”.

Berlusconi cerca l’ultima mediazione. L’articolo de La Stampa a firma di Ugo Magri:

L’uomo che si vantava di aver messo d’accordo Putin e Bush, la Russia e gli Stati Uniti d’America, oggi non riesce a tenere insieme i suoi «falchi» e le sue «colombe». Anzi, le super-colombe e i super-falchi sembrano in combutta («tu tiri di qua, io strattono di là») per causare una scissione a destra di cui farebbero le spese tanto Berlusconi quanto Alfano. Non a caso per tutto ieri un furibondo fuoco di artiglieria ha preceduto l’invito a cena di Angelino a Palazzo Grazioli. Piatto forte del menù: come evitare, se possibile, di dirsi addio già tra due giorni, quando al Palazzo dei Congressi della Capitale si adunerà il Consiglio nazionale del Pdl.

Questa incapacità berlusconiana di confermarsi leader che unisce, e anche di perdonare certi sgarbi (un tempo ne era capace, adesso non più) lascia sgomento perfino chi gli sta intorno. Nel vortice dei pettegolezzi, corre voce che la fidanzata Francesca stia vivendo la resa dei conti politica come un dramma personale. «Non lascerò mai Silvio», ripete alle amiche (e ce ne sono pure nel giro di Alfano), ma certo resterebbe delusa se il suo idolo tornasse sulla terra come personaggio risentito e rancoroso. Giusto ieri la Pascale è stata vista in un ottimo ristorante «kosher» del Ghetto, quasi una riparazione per la bestialità berlusconiana dei suoi figli «come gli ebrei sotto Hitler».

La mediazione contro cui sono scatenati gli «ultrà» consisterebbe, in sostanza, in un rinvio senza chiarire nulla. Lasciando a casa in extremis gli oltre 800 consiglieri nazionali, già con la borsa pronta? No, quello proprio non è possibile, hanno alzato una barricata i capi «lealisti» che Berlusconi si è consultato a pranzo, più i cosiddetti «pontieri» (Matteoli e Gasparri) che poi tanto pontieri non sono se è vero che intorno al desco il più moderato, o se si vuole il meno ostile a negoziare coi ribelli, era paradossalmente proprio Berlusconi. Il quale ha lasciato perplessi e dubbiosi i suoi commensali dando l’impressione di voler guadagnare tempo perché crede ancora che un dio benevolo scenderà dall’Olimpo per salvarlo dalla decadenza, fissata per il 27 del mese, nonostante il responsabile Giustizia del Pd, Leva, abbia già chiarito: quella data non si tocca. Invece il Cavaliere testardo continua a sperare che il giorno del giudizio venga spostato più in là, fino a febbraio o a marzo nientedimeno. Con quale intendimento, appunto, risulta un mistero.

I ricercatori e il piano flop. “Tornati in Italia e maltrattati”. L’articolo de La Stampa a firma di Flavia Amabile:

Quando Anthony Marasco ha sentito quella frase si è arrabbiato ancora di più. Già è furibondo per come l’Italia lo ha trattato, le parole della ministra dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza gli sono sembrate uno schiaffo dritto in faccia, e ha deciso di rispondere. «A differenza del passato – aveva spiegato la ministra parlando del suo nuovo programma per il rientro dei cervelli fuggiti all’estero – stavolta garantiremo il consolidamento dei ricercatori in arrivo dall’estero all’interno del sistema universitario. Non si può fare l’attrazione con i contratti a termine. Occorre rendere chi rientra professore, con una posizione decorosa e degna dello sforzo che ha fatto per tornare in Italia». Dopo averla letta, Anthony Marasco ha scritto una lunga lettera che è stata firmata da oltre 30 altri che, come lui, si erano fidati negli anni scorsi delle promesse dei governi italiani. Alcuni di loro pagando la scelta a caro prezzo. «Chi scrive – spiega Marasco – è parte di quel “passato” a cui si riferisce il ministro. Noi siamo fra coloro che, a vario titolo e in vario modo, si sono trovati senza garanzie e senza certezze a dover fare i conti con una realtà che cambiava di giorno in giorno. Alcuni di noi sono stati stabilizzati; altri per essere stabilizzati hanno dovuto accettare un abbassamento di rango e di stipendio; altri ancora sono dovuti ritornare all’estero o hanno dovuto cambiare mestiere. Per tutti, comunque, si è trattato di un inutile calvario, con atti formali presi all’ultimo minuto, leggi che cambiano improvvisamente, procedure farraginose e incerte. Fa piacere leggere che tutto questo ora non accadrà più. E non voglio avere alcun dubbio che davvero non accadrà più, ma mi sembra incredibile che un ministro ammetta che finora delle persone siano state trattate in modo non dignitoso e che le ignori come se fossero cadaveri. Noi non siamo cadaveri, siamo persone con delle vite che abbiamo messo in gioco perché ci siamo fidati. Non si può voltare pagina facendo finta che non esistiamo».

Esistono, invece, e porteranno per sempre su di loro i segni di questo tradimento. Come Carlo Caruso, italianista che l’Italia non vuole e che è tornato a lavorare in Gran Bretagna da cui era rientrato, uno che all’università di Durham oggi lavora con una borsa di studio da 130mila sterline. «Con altre università il mio curriculum è fonte di attenzione e di stima. In Italia mi sono sentito un ostacolo. Persino chi è a costo zero come noi che eravamo finanziati dal Miur, venivamo ostacolati solo perché esterni rispetto al corpo docente».