Vittorio Feltri: “Sparare su Balotelli è solo da ipocriti”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 26 Giugno 2014 - 12:37 OLTRE 6 MESI FA
Vittorio Feltri: "Sparare su Balotelli è solo da ipocriti"

Vittorio Feltri: “Sparare su Balotelli è solo da ipocriti”

ROMA – Un difensore che non ti aspetti. Vittorio Feltri prende a modo suo le parti di Mario Balotelli, finito al centro delle critiche dopo il flop dell’Italia ai Mondiali 2014. A Balotelli, presentato come capro espiatorio, e responsabile della catastrofe perché fa comodo, Feltri dedica un lungo editoriale che come al solito finisce per spaziare nella politica.

L’editoriale di Vittorio Feltri:

Lutto Nazionale. Gli azzurri sono di­ventati neri, neri come il loro capro espiatorio, Mario Balotelli, afrobre­sciano di talento e di tormento, cui si attribuisce la débâcle dei nostri al mondiale brasilero. Colpa sua perché ha sbagliato un gol contro la Costa Rica e perché, povero fi­glio, non ha toccato palla durante i 45 minuti da lui giocati nell’incontro con l’Uruguay, da sempre fonte di guai (la rima è voluta anche se scema). Non c’è compatriota che oggi,a funerale ap­pena celebrato, non vorrebbe esporre le spo­glie del fusto di pelle scura in un metaforico piazzale Loreto. Si sa che le vittorie hanno tan­ti padri, mentre le sconfitte sono orfane. Ma in questo caso cronisti e tifosi hanno identifica­to in Balotelli il responsabile della catastrofe calcistica.

E qui devo citare ancora una volta Winston Churchill: gli italiani perdono le par­tite come fossero guerre e perdono le guerre come fossero partite. Il defunto politico ingle­se aveva già capito tutto oltre mezzo secolo fa, e alla sua disamina c’è poco da aggiungere. Uscire malamente da un torneo di pallone al massimo livello è scocciante. Ma linciare un puntero, accusandolo di alto tradimento della patria rotonda, mi sembra eccessivo, an­che se serve dal punto di vista utilitaristico: pu­niscine uno per assolvere gli altri. Funziona ed evita il fastidio di analizzare la questione e di eseguire troppe sentenze «capitali». Fra i numerosi commenti che ho letto (a parte quel­lo di Giuseppe De Bellis: «Fuori per giusta cau­sa »)l’articolo più bello l’ha scritto Gianni Mu­ra sulla Repubblica , il quale sostiene che ogni botte dà il vino che contiene.

E la botte pedatoria in questo mo­mento è inquinata da vari ele­menti tossici. Aggiungo sol­tan­to che l’immagine della no­stra squadra umiliata sul cam­po, incapace di reagire, gam­be molli e testa nelle nuvole, non rivela soltanto lo status at­tuale della nazionale impove­rita da mille errori gestionali, ma è anche – in sintesi – la ra­diografia del Belpaese soffe­rente in ogni settore, da quello politico a quello economico.

Il declino del football dome­stico non è attribuibile a una maledizione divina, al pres­sapp­ochismo degli arbitri e al­le bizzarrie isteriche di Balotel­li. Figuriamoci. Esso è comple­mentare dello sfacelo com­plessivo della penisola, dove ormai non c’è nulla che giri per il verso giusto: la scuola è stata ridotta ad ammortizzato­re sociale, cattedre e banchi so­no occupati da gente senza speranza, il si­stema indu­striale è stato demolito da una mentali­tà anticapita­list­ica e antili­berale, l’im­pianto istitu­zionale è vec­chio come il cucco e non consente la governabili­tà, la giustizia è ciò che è a causa dell’in­sipienza di chi avrebbe l’obbligo di ri­formarla, il la­voro è una chimera e la voglia di lavorare, in assenza di stimoli, è pari alla diminui­ta offerta di posti.
Un dramma addolcito dalla retorica imperante nei palazzi del potere: bisogna avere fidu­cia nella ripresa, fiducia nel­l’Europa, fiducia in Matteo Renzi, fiducia, fiducia, fidu­cia. Alla miseria dominante fa da contraltare l’abbondanza delle parole, sempre le stesse, banali, insopportabili. Meno di una settimana fa, il ministro dell’Economia Pier Carlo Pa­doan ha distribuito a piene ma­ni dosi massicce di oro colato: «Bisogna urgentemente taglia­re le tasse e la spesa pubblica». Però, che ideona. Nuova so­prattutto.

Ora, mi capite, cari lettori, davanti a uno spettacolo simi­le, a dichiarazioni ormai entra­te di prepotenza nel recinto dei luoghi comuni, cascano le braccia e non solo quelle. Ci si deprime. Da venti anni chi sta lassù, in alto, dice e ripete: ab­bassare le tasse e comprimere la spesa pubblica. Venti anni di balle e mai un fatto concre­to. Per cui in un Paese arran­cante e che rende perpetui i propri vizi – tra cui l’accidia e la pavidità- è da ingenui confi­dare in una équipe calcistica per riscattarsi dalla sciatteria, divenuta denominatore co­mune nazionale. Pertanto sca­gliarsi contro Brandelli (par­don, Prandelli) Balotelli, Cas­sano ­e Immobile perché la no­stra rappresentativa si è dimo­strata, nel peggio, degna del­l’Italia è una scor­rettezza di cui ver­gognarsi.

Tra l’altro questo sport popolarissi­mo è stato bistratta­to. La vecchia orga­nizzazione padro­nale del pallone è stata trasformata in un circo di socie­tà per azioni con fi­ne di lucro, quando i presidenti non hanno guadagnato mai il becco di un quattrino e quasi tutti ci hanno ri­messo fior di milio­ni. Le leggi europee permettono di im­portare atleti da ogni angolo, anche il più recondito del mondo. Le forma­zioni sono imbotti­te di stranieri, tra cui una folla di brocchi. Cosic­ché i cosiddetti settori giovani­li non sfornano più campioni, e quei pochi buoni non vengo­no imp­iegati oppure ceduti al­l’estero: vedi Verratti, Rossi e lo stesso Immobile. Il serbato­io delle promesse è al lumici­no, quello dei chiodi è ricchis­simo.

Conciati così dove vogliamo andare se non verso lo sfascio di cui abbiamo avuto un antici­po in Brasile, soccombendo al­l’Uruguay nel modo che sap­piamo? Per queste ragioni, benché non ci sia simpatico, siamo solidali con Balotelli quando afferma che «gli africa­ni non avrebbero mai scarica­to un loro fratello. In questo, noi negri, come ci chiamate voi, siamo anni luce avanti». L’Italia ha perso ed è stata eli­minata perché è mediocre quanto coloro che la guidano. Balotelli non c’entra. È uno co­me gli altri, e si è adeguato al­l’andazzo generale. Non è un fenomeno, ma un italianuc­cio. Identico a noi.