Walter Veltroni, Pansa: “Il perdente giulivo si sogna il Quirinale”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 19 Gennaio 2015 - 12:56 OLTRE 6 MESI FA
Walter Veltroni, Pansa: "Il perdente giulivo si sogna il Quirinale"

Walter Veltroni, Pansa: “Il perdente giulivo si sogna il Quirinale”

ROMA – “Veltroni? È un elencatore di luoghi comuni. Parla di cose che non sa. Cita libri che non legge. È un anglista che non conosce l’inglese. Un buonista senza bontà. Un americano senza America. Un professionista senza professione”: questo ritratto al curaro del compagno Walter venne inciso da un avversario politico momentaneo – scrive Giampaolo Pansa su Libero –  l’anziano magistrato palermitano Filippo Mancuso. E vale la pena di ricordare la circostanza nella quale fu dettato a un giornalista del Corriere della sera”.

L’articolo di Giampaolo Pansa: Eravamo nella primavera del 1996, vigilia di elezioni politiche. Romano Prodi aveva fatto correre Walter nella squadra dell’Ulivo. Lui avrebbe voluto candidarsi nel collegio di Suzzara, provincia di Mantova, l’unico vinto in Lombardia dai progressisti nel 1994, l’anno del primo trionfo di Silvio Berlusconi. Ma dalle Botteghe oscure si levò un ruggito rabbioso del segretario, Massimo D’Alema: «Non puoi farlo, sarebbe un’indecenza!». Walter fu costretto a combattere nel collegio di Roma 1, contro Mancuso, già ministro della Giustizia nel governo Dini. Era il più perfido del Polo e cercò di distruggere l’avversario cominciando a dipingerlo con il profilo al veleno che ho ricordato. Fu un match da film dell’orrore. Lo vinse Veltroni. E Prodi lo portò con sé a Palazzo Chigi, nelle vesti di vice premier.

IL NO DI ROMANO

Questo frammento di memoria ci mette sotto gli occhi due politici molto citati nella battaglia per il Quirinale. Venerdì sera Prodi ha sorpreso tutti dichiarando che si ritirava dalla gara. La scelta non mi ha stupito. Nell’autunno del 2013, l’avevo incontrato per caso di domenica in un ristorante di Reggio Emilia. Era suonato da poco il mezzogiorno, lui e io, con le nostre signore, eravamo gli unici avventori del locale. Quando gli dissi che mi auguravo di vederlo al Quirinale dopo Giorgio Napolitano, il professore si rabbuiò. E rispose, deciso: «Basta, dopo il pessimo scherzo dei centouno franchi tiratori del Partito democratico non voglio più saperne». A questo punto, la domanda è se vedremo oppure no anche il ritiro di Walter, sempre citato nelle previsioni quirinalizie. Sino all’altro giorno stava in Cile a sproloquiare sul futuro del mondo. Al ritorno in Italia, imiterà il gesto di Prodi? Difficile saperlo. Ormai la politica nostrana è un luna park dove può accadere di tutto. Abbiamo visto Matteo Renzi cumulare due incarichi: segretario del Pd e premier. Perché immaginare Veltroni fra i corazzieri dovrebbe essere ritenuto un’assurdità?

INUTILE STUPIRSI

Il ragazzone sempre cortese sembrava in declino e ormai lontanissimo dalle battaglie politiche. E molti si sono stupiti di vederlo comparire tra i papabili al Colle. Io no. Anni fa avevo chiamato Veltroni il Perdente di successo, perché sapeva sempre rialzarsi dopo una sconfitta e conquistare un altro traguardo. Il va e vieni della sua buona stella non lo spaventava. E questa dote mi suggerì di passare al Perdente giulivo. Come altri cronisti dai capelli bianchi, ho il privilegio di aver narrato le avventure di Walter un’infinità di volte. Il suo primo smacco risale all’estate del 1994. Travolto dal ciclone del Cavaliere appena sceso in campo, Achille Occhetto si era dimesso da segretario del partito. Chi poteva prenderne il posto? Tre buoni samaritani (Piero Fassino, Fabio Mussi e Claudio Petruccioli) cominciarono a costruire la candidatura di Veltroni. Però l’altro concorrente era un panzer super corazzato: D’Alema. Vinse Max. Ma Walter, telefonò alla figlia Martina e le disse: «Dobbiamo essere allegri. Lo zio Max ci ha salvato le vacanze!». In quel momento aveva 39 anni e dirigeva l’Unità. Faceva un giornale intelligente e inutile. Certi paginoni erano il regno dell’assurdo. Il Museo dei bidoni. Dalla trota pelosa allo yeti. Professione sub, il sessantottino sotto il mare. Un cazzeggio infinito, roba adatta alla rubrica «Chi se ne frega» del maledetto Cuore. Ma sotto sotto il Perdente di successo cercava una rivincita. Nell’estate del 1995 la ottenne con un libro: La bella politica. «Centomila copie vendute» dichiarò Walter. Geloso, D’Alema si precipitò a scrivere anche lui un saggio. Era quasi finto. Appena sessanta pagine sull’Italia normale. E il Perdente svettò in tutte le feste dell’Unità.

IL RITORNO

Tuttavia la vittoria è una femmina pronta a tradire. Nell’agosto di quell’anno esplose lo scandalo di Affittopoli. Era la grande rogna delle case di enti previdenziali assegnate a politici per pigioni di favore. Uno di questi risultò D’Alema che fece subito trasloco. Un altro era Veltroni. Visse una fine estate violenta. In tivù aveva lo sguardo smarrito del tacchino inseguito dal cuoco la vigilia di Natale. L’anno successivo, era il 1996, Prodi portò Veltroni a Palazzo Chigi come vice premier. Ci abitarono per poco tempo. Nell’ottobre 1998 il governo cadde per un solo voto, ucciso da Rifondazione comunista. Al professore subentrò D’Alema che lasciò la segreteria dei Ds a Walter, ritornato in sella. Fu eletto a quell’incarico da una maggioranza super bulgara: l’89 per cento. Ma la sconfitta era di nuovo in agguato. L’anno successivo, nel giugno 1999, alle elezioni europee i Ds persero un milione e mezzo di voti. Forza Italia divenne il primo partito italiano. Alla tivù comparve un Walter disfatto, stressato, il famoso neo che gli cascava a metà guancia. Spiegò la sconfitta con lo stato comatoso del suo partito: «È gracile e arrogante. Ha sostituito il centralismo democratico con il casino. Siamo pieni di intrighi, di correnti, di lotte interne. Sono spaventato da una Quercia ricca non di opinioni, bensì di guerre intestine». Il 16 giugno 2000 arrivò una nuova botta elettorale per i Ds e gli alleati, sconfitti in otto regioni su quindici. D’Alema lasciò Palazzo Chigi a Giuliano Amato. A Walter venne addossata la catastrofe. Fu allora che scelse di lasciare il Bottegone per rifugiarsi in Campidoglio come sindaco di Roma. Ci riuscì nel gennaio del 2001. La decisione, inspiegabile, si rivelò astuta. Nelle elezioni politiche del 13 maggio di quell’anno, Forza Italia riportò una vittoria schiacciante. I Ds andarono vicini al minimo storico: il 16,6 per cento. Mentre Walter conquistò Roma e la prese pure nel 2006.

IL DISASTRO E IL SUO VICE

Alle Botteghe oscure c’era andato Piero Fassino. Quando lui lasciò e nacque il Partito democratico, la scelta di affidarlo a Veltroni risultò obbligata. Il Perdente di successo stava nella fase ultra riformista. Strillava di non essere mai stato comunista, bensì berlingueriano. Lo elessero segretario il 16 ottobre 2007. Ma da quel momento incassò soltanto sconfitte. La seconda caduta del governo Prodi. La vittoria di Berlusconi nel voto dell’aprile 2008. Lo stesso in Sicilia, a Roma, in Abruzzo, in Sardegna. Ormai Walter non aveva più una exit strategy. Il 17 febbraio 2009 si dimise da segretario, cedendo la poltrona a Dario Franceschini. Un certo Matteo Renzi commentò: «Per liberarsi di un disastro, hanno eletto il vice disastro». Ma adesso il Perdente di successo è stato riportato sulla scena, non sappiamo da chi. Pare uno dei papabili per il Quirinale. Non credo che diventerà il nuovo presidente della repubblica. Tuttavia Walter è uno specialista in resurrezioni. Quindi è da saggi attenersi a un motto famoso: in politica, mai dire mai.