Yara e le altre, quando la confessione non arriva mai. Neirotti, La Stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 23 Giugno 2014 - 12:44 OLTRE 6 MESI FA
L'articolo di Neirotti

L’articolo di Neirotti

ROMA “Nel reticolo di dolori – scrive Marco Neirotti sulla Stampa – che percorre l’indagine sulla fine di Yara lascia due gocce di stupore e di tenerezza la voce della madre di Giuseppe Bossetti, in carcere perché accusato dell’omicidio: «La scienza ha sbagliato». Difende il figlio, la famiglia di ieri e di oggi, il proprio passato e il proprio onore”.

L’articolo completo:

L’ostinato negare è una costante del processo, per innocenza o per fede nell’effetto del dubbio, per un attimo d’ombra della mente o per vergogna sociale.
L’Italia televisiva ha seguito – spaccata in due certezze opposte – la tenacia dolorosa, le lacrime talora strazianti talora invadenti di Annamaria Franzoni, accusata d’aver ucciso il 30 gennaio 2002 a Cogne il figlio Samuele e condannata a 16 anni dalla Corte di Cassazione nel 2008. Annamaria ha sostenuto la propria innocenza durante l’indagine, poi in aula, su tutte le reti televisive. Si è sottoposta a diverse perizie e una di queste, pur non incidendo sul giudizio attraverso una seminfermità o una infermità temporanea, ha avanzato la possibilità di uno «stato crepuscolare», un disturbo della coscienza al momento del fatto, diverso dalla rimozione. Ma lei stessa ha rifiutato sempre di rifugiarsi in un vizio di mente.
Hanno ammesso durante un interrogatorio ma hanno poi ritrattato e negato per tutte le fasi del processo Olindo Romano e Rosa Bazzi, ai quali la Cassazione nel 2011 ha confermato l’ergastolo per la strage di Erba dell’11 dicembre 2006 che a colpi di spranga e coltello lasciò a terra morti la vicina di casa, il suo bambino Youssef e la nonna, una coinquilina e, ferito alla gola, il marito di lei. Olindo e Rosa furono oggetto di un’indagine minuziosa, il castello dell’accusa costruito senza porre al centro la confessione che l’imputato sostenne d’aver rilasciato dopo un lavaggio del cervello operato dai carabinieri sfruttando la esasperata e disperata simbiosi del rapporto di coppia: stare insieme sempre o salvare almeno Rosa.
Omicidio colposo (sei anni) e favoreggiamento (due anni) arrivarono in un ultimo grado nel 2003 a Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro per l’omicidio di Marta Russo, studentessa ventiduenne all’Università La Sapienza di Roma, raggiunta da un colpo di pistola in un vialetto della Cittadella. Dopo ipotesi su una strategia del terrore, all’incrocio di perizie, a ricostruzioni con apparecchiature sofisticatissime si sposavano le testimonianze di studenti che sostenevano d’aver sentito più volte i due, ricercatori dell’ateneo, teorizzare il delitto perfetto. Nell’inseguirsi di interrogatori, di personaggi anche di spicco ritenuti possibili colpevoli di favoreggiamento, Scattone e Ferraro negarono sempre con assoluta determinazione.
A Torino, nel maggio 1996 scomparve Marina Di Modica, 39 anni, logopedista. Scartato subito un allontanamento volontario senza la più flebile ragione, gli inquirenti concentrarono l’attenzione sull’uomo con il quale aveva un appuntamento, il filatelico quarantenne Paolo Stroppiana. Della donna nessuna notizia, su di lui sempre più riscontri di quelle che apparivano cascate di menzogne e – come ora, su altri versanti, per i Bossetti – crescenti verità private. Dopo cinque processi (il primo nel 2006) Stroppiana, che continua a negare, riceve in Cassazione la conferma della condanna a 14 anni (tre condonati) pur nell’assenza del corpo della vittima (nello stesso periodo scomparve ancora a Torino Valentina, transessuale il cui cadavere fu fatto ritrovare dallo stesso assassino, Roberto Prinzi, soltanto dopo la condanna definitiva).
Anche i nomi della cronaca più recente si muovono tra accuse e dinieghi totali, come nei casi di Meredith, Sarah Scazzi, Melania Rea, per i quali manca la parola ultima. Oggi è spesso elemento importante, spesso fondamentale il Dna, si impone la scienza cui non crede la madre di Bossetti: «La scienza sbaglia». Le fa eco l’incredulità a doppio binario del figlio, che ricusa i laboratori laddove indagano la macchia per lui inspiegabile sui leggins di Yara, ma sgomento ne riceve il responso quando gli rivelano il più intimo dettaglio d’inizio della sua storia.