Coronavirus, studio in Corea del Sud: pazienti guariti si riammalano e tornano positivi

di redazione Blitz
Pubblicato il 18 Aprile 2020 - 20:24 OLTRE 6 MESI FA
Coronavirus, studio in Corea del Sud: pazienti guariti si riammalano e tornano positivi

Coronavirus, studio in Corea del Sud: pazienti guariti si riammalano e tornano positivi (Foto archivio Ansa)

 SEUL – In Corea del Sud, uno studio ha rivelato che alcuni pazienti, guariti dal coronavirus, sono dopo un po’ tornati positivi. L’ipotesi dei ricercatori, che stanno lavorando direttamente con il governo per capire come il virus si muova nella popolazione, è che il virus si sia “riattivato” nei pazienti, il che significa che il virus è rimasto per un po’ inattivo e poi è rispuntato.

Lo studio ha esaminato oltre 160 sudcoreani tornati positivi una seconda volta al coronavirus: molti si erano offerti volontari a un riesame perché avevano avvertito sintomi quali la tosse; altri, nonostante non mostrassero sintomi, si erano sottoposti a test aggiuntivi perché qualcosa evidentemente li insospettiva. Il dato rassicurante è che, almeno finora, questi pazienti – che erano tutti risultati per due volte negativi prima di essere dati per guariti – non hanno contagiato altri, assicurano le autorità locali.

Il Paese asiatico, sebbene sia stato tra quelli più colpiti e sia vicinissimo alla Cina, non ha limitato i movimenti dei suoi cittadini né chiuso le frontiere. ​Ma è un modello nel contrasto all’epidemia di coronavirus, fondato su una combinazione di trasparenza, utilizzo delle nuove tecnologie e test a tappeto per evitare il contagio.

Una volta appiattita la curva di nuovi casi, sta adesso allentando le misure di distanziamento sociale. Ma le persone che risultano positive una seconda volta ovviamente preoccupano, anche perché potrebbero avere un impatto sulla politica sanitaria di altri Paesi.

La notizia che forse il virus va e viene (come l’herpes) aumenta ovviamente anche la pressione su coloro che si ammalano, perché vorrebbe dire che l’infezione dura molto più a lungo di quanto inizialmente pensato.

Le autorità sanitarie sudcoreane escludono che possa essersi trattato di test fallaci (i produttori di kit locali sostengono che i loro esami abbiano un’accuratezza del 95%).

In realtà anche Cina, Giappone e India hanno riportato diversi casi di persone guarite e poi tornate positive. E l’Oms – che ovviamente è a stretto contatto con Seul – ha riconosciuto nei giorni scorsi che non tutti i pazienti guariti sembrano aver sviluppato gli anticorpi per evitare un secondo contagio.

I casi si sono verificati in media 13 giorni e mezzo dopo la dimissione dei pazienti, un tempo a tal punto breve da escludere la possibilità che essi abbiano avuto la sfortuna di incrociare la malattia per una seconda volta.

Adesso i ricercatori sudcoreani stanno cercando di capire se davvero i pazienti si siano ammalati dello stesso virus e soprattutto se non abbiano contagiato altre persone.

Il primo caso è stata una donna di 73 anni dimessa il 22 febbraio: 5 giorni dopo ha chiamato i medici sostenendo che non stava bene. La donna era rimasta a casa da sola: due membri della sua famiglia erano stati ricoverati ma senza aver avuto contatti con lei.

L’anziana è stata ricoverata di nuovo, perché risulta positiva, il 28 febbraio: trattandosi di una persona d’età avanzata e dunque con il sistema immunitario indebolito, i medici hanno pensato che il secondo risultato positivo fosse dovuto al fatto che non avesse sviluppato abbastanza anticorpi.

A quel punto Daegu, la città che è stata il focolaio sudcoreano più importante di Covid-19, ha cominciato a monitorare i pazienti dopo le dimissioni dell’ospedale: tra i 67 risultati positivi per la seconda volta, 17 erano sintomatici.

La scorsa settimana le autorità hanno ricontattato quasi 5.000 pazienti guariti per capire se avessero ancora sintomi: 316 hanno denunciato tosse o febbre leggera e, tra costoro, solo 12 sono risultati positivi di nuovo.

“In base al nostro monitoraggio riteniamo molto probabile che una particella dormiente del virus si sia riattivata”, ha ammesso Min Pok-Kee, il medico che guida il team di esperti a Daegu.​

“È chiaro che non comprendiamo totalmente cosa significhi avere l’immunità contro questo virus”, ha ammesso Keiji Fukuda, un ex funzionario dell’Oms, che ha lavorato a lungo sull’H1N1 e sull’influenza aviaria.