Genova: il fantasma black bloc rivive con gli ultras serbi nella notte maledetta di Cristoforo Colombo

Pubblicato il 13 Ottobre 2010 - 15:24| Aggiornato il 14 Marzo 2011 OLTRE 6 MESI FA
italia serbia ivan bogdanov

L'arresto di Ivan, l'ultras serbo protagonista degli scontri

Qualcuno ha tirato fuori subito la “maledizione di Colombo”, quella leggenda secondo la quale nell’anniversario della Scoperta dell’America da parte del grande navigatore genovese, nella città della Superba, capita sempre qualcosa di tragico. E il giorno di Italia-Serbia, partita di qualificazione europea, la nazionale che torna a Genova dopo 12 anni, ben quattro giocatori sampdoriani e genoani con la maglia azzurra tutti insieme sul prato del “mitico” Luigi Ferraris, non è proprio il 12 ottobre?

Ma alla maggior parte degli spettatori del match e ai milioni di telespettatori attoniti davanti al video tra le 20,30 e le 23 del 12 ottobre 2010, 518 anni dopo la Grande Scoperta Colombiana, più che a quella leggenda hanno pensato al più recente assalto a Genova dei black bloc, durante il G8 dell’estate 2001, tragico mese di luglio, tre giornate calde, culminate con la morte del ragazzo genovese Carlo Giuliani, con le distruzioni inferte da quel blocco nero alla città dove i Grandi della terra si riunivano nella zona rossa blindata dall’allora ministro dell’Interno, lo sventurato Claudio Scajola.

E a cosa si poteva pensare se non ai black bloc, davanti all’immagine di quel tifoso terrorista serbo, passamontagna nero, maglietta nera, a cavalcioni per mezz’ora sulla rete di recinzione che separava il settore ospiti dalla Gradinata Nord dello stadio. Lui tagliava come un certosino la rete di acciaio per aprire un varco alle decine, centinaia, forse migliaia di presunti tifosi, terroristi, che alle sue spalle già sparavano candelotti fumogeni, già mostravano qual era lo scopo di quell’assalto: seminare il terrore mentre le squadre stavano entrando in campo, mentre i 24 mila spettatori volevano trasformare la partita in una festa.

Mostrare il pugno duro e la violenza di un irredentismo crudele e sfrontato, covato in quella fucina di odi, vendette e guerre nel cuore dei Balcani e capace di scavalcare controlli, divieti, barriere per mascherarsi da tifo sportivo e piombare di qua delle Alpi e degli Appennini, in riva al mare, nel ventre molle di quella città lunga e stretta con il campo di calcio in mezzo alle case, lungo quel fiume secco. Il fantasma dei black bloc, il loro arrivo impunito e incontrollato, sotto la maschera del tifo per una nazionale serba già contestata in patria, nè inseguita su e giù per il Continente, perchè trattata come una muta di cani rabbiosi imprendibili, ha fatto rivivere a Genova un pomeriggio e una notte di imprevista paura e di pesante memoria.

I serbi calati dalla pianura padana, non controllati ai confini, non fermati alle porte della città, come era avvenuto per i black bloc del G8, avevano già mostrato i loro denti di lupi balcanici ore e ore prima della partita, terrorizzando il centro della città, unendosi paradossalmente a un corteo di protesta dei lavoratori del teatro dell’Opera Carlo Felice in odore di chiusura, obbligando molti commercianti della centrale via XX Settembre a sbarrare i negozi. Proprio come nove anni e tre mesi fa, sullo stesso terreno, sullo stesso lastricato, quando i container piazzati dal ministro dell’Interno non avevano fermato il corteo dei duri che voleva assaltare la zona rossa del G8, in fondo a quella strada. E dopo, quando la partita stava avvicinandosi e la Genova tifosa di calcio si apprestava alla festa, che strada hanno preso i tifosi mascherati? La stessa del black bloc di allora, per raggiungere lo stadio stretto tra le valli genovesi e quel fiume secco che si chiama Bisagno.

Allora i black bloc avevano dato l’assalto al carcere di Marassi, alle spalle dello stadio e avevano osato incendiare la porta della casa di pena, facendo alzare le fiamme dietro la Gradinata Nord del Ferraris. Era stato il punto più alto del terrore di quei giorni e la paura aveva circondato lo stesso quartiere della notte della partita, con il blocco nero che poi fuggiva sulle alture attraverso scalinate che sono ripide come pareti di una montagna aspra, seminando bombe molotov come fossero confetti, incendiando auto e negozi.