Separazione, mantenimento: cosa cambia con nuova relazione

di Redazione Blitz
Pubblicato il 3 Dicembre 2015 - 19:03 OLTRE 6 MESI FA
Separazione, mantenimento: cosa cambia con nuova relazione

Separazione, mantenimento: cosa cambia con nuova relazione

ROMA –  Separazione e mantenimento. Cosa succede quando uno dei due ex coniugi si sposa o se intraprende semplicemente una nuova relazione? Dipende, e questo la Cassazione lo ha ribadito anche in una recente sentenza, da chi intraprende la nuova relazione. Nello specifico se chi inizia la nuova storia è il coniuge che ha diritto al mantenimento allora questo diritto decade perché con la nuova relazione il coniuge implicitamente accetta anche i rischi della situazione.

Se invece è il coniuge che eroga l’assegno ad avere una nuova storia allora l’assegno va riparametrato. Come lo spiega il sito La Legge per tutti: “… il giudice potrà ricalcolare la misura di tale importo, alla luce delle sue mutate condizioni economiche (divenute, ovviamente, più ridotte per le mutate condizioni familiari e per l’obbligo di mantenere anche la nuova famiglia). In questo caso, dunque, il tribunale dovrà fare una valutazione caso per caso: indubbio è, infatti, che gli ex coniugi abbiano diritto a rifarsi una vita e a intraprendere una nuova relazione, avere altri figli, ecc., cosa che di certo sarebbe impossibile se – in ipotesi di reddito basso – l’assegno di mantenimento rimanesse sempre nella stessa misura. Ma la riduzione di tale importo (e, ancora di più, la totale cancellazione) non è così automatica, ma deve passare sotto il vaglio del giudice”.

La sentenza.  Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 5 maggio – 30 novembre 2015, n. 24414

Presidente Di Palma – Relatore Bisogni
Ritenuto che
1. P.B. ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 3414/13 della Corte di appello di Roma che ha determinato in 200 euro mensili l’assegno divorzile a carico del B. con decorrenza dal passaggio in giudicato della pronuncia sullo scioglimento del vincolo matrimoniale con A.G..
2. I1 ricorrente deduce: a) violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 112 c.p.c. e della legge n. 898/1970, articolo 5 comma 6 e successive modifiche, in punto di accertamento del diritto dell’assegno divorzile e quindi di verifica dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente; b) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. Violazione dell’art. 345 comma 3 c.p.c. e degli artt. 2727 e 2729 c.c. Deduce altresì violazione e falsa applicazione degli artt. 147-155 e 155 quinquies c.c. e dell’art. 6 della legge n. 898/1970 nonché l’omesso esame di un fatto decisivo di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
3. Si difende con controricorso A.G. che preliminarmente eccepisce l’inammissibilità del ricorso in quanto volto a provocare un ulteriore riconsiderazione del merito e per l’inusuale formalità di presentazione del gravame che ne rende complicatissima la consultazione e valutazione degli allegati frammisti al testo.
Ritenuto che:
4. Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. civ. S.U. n. 5698 dell’11 aprile 2012) hanno statuito che ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, ex art. 366, n. 3, cod. proc. civ., la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nel quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso cosicché va dichiarato inammissibile il ricorso articolato con la tecnica dell’assemblaggio, mediante riproduzione integrale di una serie di atti processuali che non consente di cogliere i fatti rilevanti in funzione della comprensione dei motivi stessi.
5. il ricorso in esame appare viziato dai profili di inammissibilità indicati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite che nella specie sono riferibili a un assemblaggio del testo del ricorso e di documenti di cui non è dato comprendere il nesso di rilevanza rispetto al testo che interrompono sistematicamente rendendone incerta la comprensione.
6. I1 ricorso, per quello che è dato comprendere dalla sua problematica lettura, appare comunque inammissibile e infondato per avere la Corte di appello valutato adeguatamente i presupposti per l’attribuzione di un sia pur modesto assegno divorzile alla G., in relazione alla verifica nel caso concreto dei vari criteri per la valutazione della sussistenza del diritto all’assegno dívorzile. Le lamentate violazioni di legge appaiono quindi insussistenti perché la decisione impugnata si muove nel quadro dei principi giurisprudenziali in materia di assegno divorzile e valuta oltre al pregresso tenore di vita della famiglia, le condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi, le loro potenzialità reddituali attuali, la durata del matrimonio, gli oneri di contribuzione al mantenimento delle figlie, la incidenza nel presente giudizio della convivenza more uxorio intrapresa successivamente alla separazione dalla G.. Le censure del ricorrente appaiono, oltre che generiche rispetto alle indicate censure di violazione di legge, anche indeterminate quanto al lamentato omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, e nel complesso possono ritenersi caratterizzate da una sostanziale finalizzazione a una riedizione del giudizio di merito.
7. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e, se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio, per la dichiarazione di inammissibilità o, eventualmente, per il rigetto del ricorso”.
La Corte condivide tale relazione anche all’esito della lettura della memoria difensiva del ricorrente che attesta la infondatezza della censura di violazione di legge e dimostra come le censure di omesso esame, ex art. 360 n. 5 c.p.c., e quelle di falsa applicazione delle norme invocate, ex art. 360 n. 3 c.p.c., consistono in realtà in contestazioni della decisione impugnata e della sua motivazione che appaiono inammissibili in sede di ricorso per cassazione in quanto intese a una sostanziale riedizione del giudizio di merito.
La Corte pertanto ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. Il giudizio, esente dall’applicazione del contributo unificato, non consente l’applicazione dell’articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 2.800, di cui 200 per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.