Gasparri: “Il governo non può decidere sulla Rai. Petruccioli? Sbaglia”

Pubblicato il 17 Gennaio 2012 - 14:26 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Cambiare la Rai? Il governo non si faccia illusioni, la competenza è del Parlamento, come dimostrano anche svariate sentenze della Cassazione. Si potrebbe sintetizzare così il ragionamento di Maurizio Gasparri, autore dell’omonima legge che dal 2004 governa il nostro sistema radiotelevisivo.

“Quando sento parlare di commissariamento della Rai da parte del governo mi viene da ridere. Chi lo fa dimostra di non conoscere il Codice civile, perché l’azienda è in pareggio di bilancio, e soprattutto di ignorare le tante sentenze della Corte costituzionale che vietano all’esecutivo ingerenze dirette o indirette nella tv pubblica. Se la Corte costituzionale avesse una polizia, dovrebbe arrestarli…”. “Fossi nel governo procederei con massima attenzione. Perché la Cassazione, dalla sentenza 225 del 1974 in poi, riporta il controllo della Rai al solo ambito parlamentare e, in seguito, soprattutto alla commissione di Vigilanza come espressione del pluralismo democratico”.

Nella polemica sulla Rai è entrato anche Claudio Petruccioli, ex presidente della tv pubblica, che ha contestato a Gasparri il fatto che nella sua legge il ministero dell’Economia abbia voce in capitolo con la nomina di un consigliere, la designazione del presidente e l’intesa sul direttore generale. “Vorrei chiarire che nella mia prima formulazione, articolo 18 comma 7, prevedevo che il ministero dell’Economia designasse i consiglieri, fino a una possibile privatizzazione della Rai, ma con nomi indicati dai presidenti delle Camere. Nel 2002 però in sede parlamentare si arrivò all’attuale formulazione perché i presidenti del tempo, soprattutto Pier Ferdinando Casini, chiesero di essere sollevati da quell’onere. Il Parlamento si mosse così proprio per i tanti pronunciamenti della Consulta. L’assunto di Petruccioli non funziona. Il ministero dell’Economia designa il proprio consigliere, ma un parere del 2008 e la sentenza 79 del 2009 hanno comunque ricondotto all’alveo parlamentare la nomina negando al ministro il potere di revoca. Il presidente? C’è il potere di designazione ma c’è il vincolo del parere favorevole di due terzi della Vigilanza. E senza il voto del Consiglio, a sua volta votato dalla Vigilanza, non si può nominare un direttore generale. Come si vede, con gli attuali criteri, tutto è doverosamente riportato a una sede parlamentare. Esattamente come impone la Corte di cassazione in più sedi. Ecco perché la mia legge non è mai stata accusata di incostituzionalità. Mi sento quasi offeso…”.