Il no di Merkel ai salvataggi favorisce credit crunch. E S&P declassa la Ue

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Dicembre 2013 - 12:37 OLTRE 6 MESI FA
No tedesco ai salvataggi favorisce credit crunch. E S&P's declassa la Ue

No tedesco ai salvataggi favorisce credit crunch. E S&P’s declassa la Ue

ROMA – Il no di Merkel ai salvataggi favorisce credit crunch. E S&P’s declassa la Ue.  La perdita della tripla A dell’Unione Europea (oggi il rating è AA+), spiega l’agenzia di rating Standard & Poor’s, “riflette la nostra convinzione che la credibilità complessivo degli ormai 28 Paesi membri della Ue in materia di credito si sia indebolita, il profilo finanziario deteriorato”. Non ci sono dunque solo le prospettive non rosee sulla certezza che gli  Stati membri onorino gli impegni assunti in materia di bilancio comunitario. Il credito, di nuovo a rischio di incremento del cosiddetto credt crunch, è il grande malato. E non aiuta, in questo senso, l’intransigenza, in materia di salvataggi, che il Cancelliere tedesco Angela Merkel ha ribadito nelle trattative sull’Unione bancaria. Chi pensava che dopo le elezioni avrebbe cambiato abito mentale deve ricredersi.

Federico Fubini su Repubblica rilancia l’allarme credit crunch alla luce delle posizioni in campo, in particolare della Germania che ha ritrattato anche le aperture seguite allo stanziamento, nella fase più acuta della crisi, quando aveva faticosamente acconsentito al fondo salvataggi europeo che, si affermava ufficialmente, avrebbe potuto “ricapitalizzare direttamente le banche”, con l’obiettivo di spezzare il circolo vizioso banche-debiti sovrani e il circuito paralizzante di banche che non prestano, debitori che non le pagano, aziende chiudono.

Senza la garanzia di un intervento centrale, un po’ come negli Stati Uniti, ogni Stato in difficoltà è stato lasciato solo di fronte alla fuga dei sottoscrittori dei bond nazionali. Secondo l’Abi, l’introduzione dell’unione bancaria e delle regole sulla risoluzione di banche in crisi (bail-in) rischiano di aumentare i costi delle emissioni obbligazionarie delle banche italiane e anche di ridurre la loro appetibilità presso risparmiatori e investitori.

Anche dopo la sua terza rielezione, la cancelliera Merkel si è opposta a ciò che aveva accettato un anno fa. Il «meccanismo unico di risoluzione», costituito da contributi delle banche stesse, funzionerà in pieno solo fra dieci anni. Anche allora varrà appena 55 miliardi di euro, quanto basta per un unico intervento di medie dimensioni, a fronte di bilanci bancari che in totale valgono 25 mila miliardi. Lo strumento per garantire una gestione senza panico di un collasso d’impresa varrà (a pieno regime) lo 0,22% dei bilanci che dovrebbe in qualche modo assicurare. Quanto al fondo salvataggi europeo costituito dai governi fino a 700 miliardi, l’Esm, anche qui la marcia indietro è completa: potrà prestare risorse a un governo che deve gestire il fallimento di un istituto, ma non intervenire direttamente. L’impegno di un anno fa, a causa di Berlino, è rimasto lettera morta. Il legame pericoloso fra le banche e i loro governi resta intatto. (Federico Fubini, La Repubblica)

La diffidenza con cui la Germania è tornata a guardare all’Italia (appena ha avuto i soldi hanno smesso di fare le riforme attese) rischia di essere autolesionista, perché le banche in crisi non garantite da un ombrello europeo di protezione smetteranno di erogare prestiti e lo faranno a tassi non concorrenziali favorendo il ricostituirsi delle condizioni che hanno portato alla crisi dei debiti sovrani  che dovranno essere affrontate con le stesse armi che Berlino mostra di disprezzare. Come essere costretti, a Monopoli, a ripartire dal Via.