Né banche né debiti ma infrastrutture: la Cina vuole investire e gestire

ROMA – La Cina investirà miliardi di dollari nel nuovo piano di rilancio delle infrastrutture in Gran Bretagna. La notizia è importante per capire gli orientamenti strategici del colosso asiatico, visto o, più correttamente, salutato a sproposito, come il salvatore delle economie occidentali alla prese con stagnazione, crisi di liquidità, bassa crescita ecc… Il soccorso giallo non arriverà al galoppo per sostenere i barcollanti istituti di credito o i debiti sovrani in sofferenza. L’appello di Sarkozy a comprare titoli di stato europei è stato rispedito al mittente. I cinesi sono già rimasti scottati e non ripeteranno l’errore. Contribuiranno invece a sostenere i programmi di crescita e quindi la realizzazione di nuovi, imponenti piani infrastrutturali: solo così possono aiutare i partner commerciali in difficoltà a superare il delicato momento economico e  e scongiurare la globalizzazione della crisi.

L’intervista rilasciata da Liu Jiwei segna un passaggio fondamentale nei rapporti est-ovest e forse una rivincita delle economie dure (lavoro, industria, reti) sull’eccesso di finanziarizzazione del sistema. A capo della China Investment Corporation, Jiwei siede su una montagna da 410 miliardi di dollari, la dote dedicata agli investimenti dell’immensa riserva cinese gestita dallo Stato che ammonta a 3200 miliardi di dollari. Jiwei ha fissato priorità e paletti, togliendo parecchie illusioni a chi già pensava di poter contare a una fetta di quel tesoro. Il viceministro delle finanze cinese indica la stella polare dei futuri investimenti:  “Costruire la crescita”. Investimenti futuri perché al momento anche il CIC è a corto di cash, ma il fondo sovrano batterà cassa allo Stato e nel giro di qualche settimana il liquido scorrerà a fiumi.

Le avventure passate del fondo sovrano saranno accuratamente evitate. Brucia ancora l’avventatezza con cui dilapidò capitali nelle impresa fallimentari degli esordi: Blackstone e Morgan Stanley insegnano. E dalla crisi del 2008 negli Usa, i cinesi hanno tratto un’altra lezione: “Lo sviluppo delle infrastrutture in Paesi come gli Usa indica come questo tipo di investimento spinge in avanti un’economia. La storia della Cina negli anni recenti fornisce una prova ulteriore”, ha sentenziato Liu Jiwei sul Financial Times.

Tutto bene insomma, soldi freschi per costruire autostrade, aeroporti, ponti, reti telematiche, ferrovie…? Non proprio. Allo steso modo con cui la Cina ha colonizzato mezza Africa e America Latina costruendo in cambio di materie prime, in Europa non si accontenterebbe del ruolo di appaltatore privilegiato. In cambio vuole partecipare al business in tutte le sue fasi, dal project financing alla gestione, dalle gru alla cassa, dal pilone autostradale al casello. Investimento, sviluppo, gestione: il prezzo è questo, prendere o lasciare. E gli Stati con l’acqua alla gola, con le banche che non prestano un euro per una mezza opera, potrebbero essere costretti ad aprire le porte ai cinesi. Con il rischio di cogestire con manager cinesi settori chiave per la sicurezza, condividendo informazioni su segreti militari, obiettivi sensibili, apparati strategici.

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