Ilva, l’accordo salva gli impianti e annulla le cause. Ma già da dicembre Mittal può andarsene quando vuole

di Redazione Blitz
Pubblicato il 5 Marzo 2020 - 11:49 OLTRE 6 MESI FA
Ilva, l'accordo salva gli impianti e annulla le cause. Ma già da dicembre Mittal può andarsene quando vuole

Ex Ilva, gli impianti siderurgici ArcelorMittal a Taranto (Ansa)

ROMA – Arriva la prima intesa sul futuro dell’ex Ilva: Arcelor Mittal non lascerà Taranto, almeno per ora, si impegna a raggiungere la piena produzione entro il 2025 e a tenere in azienda 10.700 dipendenti.

A due giorni dall’udienza di Milano sui ricorsi che, in caso di mancato accordo, avrebbe deciso il destino del sito siderurgico, i commissari dell’ex Ilva in amministrazione straordinaria e i vertici di Am Investco hanno firmato la tregua che consentirà agli stabilimenti di non chiudere.

Accordo col trucco? Le condizioni di Mittal

La sensazione – Il Fatto quotidiano saluta l’intesa con il titolo “Ilva, l’accordo col trucco: Mittal può andarsene quando vuole” – è che le intenzioni contenute nell’accordo (soprattutto l’impegno dello Stato, enorme, si parla di due miliardi) promettano più di quanto possano mantenere. Si scongiura, è vero, la chiusura ex lege. Si rinviano però le questioni cruciali: i franco-indiani saranno vincolati a restare oppure no? Con quali ricadute occupazionali?

500 milioni per andarsene

ArcelorMittal, secondo il Fatto, ha già deciso di andar via, intanto prova a spuntare tempo e condizioni più favorevoli. Se alla fine di novembre il Governo non avrà trovato i nuovi soci e messo sul tavolo i soldi che si impegna a stanziare, potrà andarsene sborsando 500 milioni. Di cui 100 in materia prima. Di scudo penale non si parla più perché è stato abolito da una legge un anno fa, decadono però le cause intentate dai commissari.

I Mittal potranno dunque recedere dal contratto di affitto dandone comunicazione entro fine anno e restituendo gli impianti ai commissari, dopo aver pagato una “caparra penitenziale di 500 milioni”.

Oltre alla penale, oltre all’affitto dimezzato e all’obbligo di acquisto differito a maggio 2022, nel nuovo contratto sono state aggiunte altre clausole diciamo di salvaguardia. La revoca “dei sequestri penali” negli impianti. La modifica del Piano Ambientale. L’autorizzazione a portare la produzione a otto milioni di tonnellate l’anno e ad utilizzare “il rottame”. E anche a un nuovo accordo coi sindacati.

I sindacati bocciano l’accordo su tutta la linea

I quali hanno già bocciato l’accordo. Non si chiarisce, accusano Cgil, Cisl, Uil, Fiom, Fim e Uilm, né quale sarà il ruolo dello Stato e delle banche, né come sarà distribuito “il mix produttivo tra ciclo integrale e forni elettrici. Il ruolo conseguente delle due società. La possibilità con questo piano di occupare i 10.700 lavoratori più i 1.800 in amministrazione straordinaria. E i lavoratori delle aziende di appalto, che l’accordo del 6 settembre 2018 assicurava”.

Chiede molto, forse troppo, Mittal ai sindacati, al governo, ai tribunali, al territorio, alle istituzioni locali. In pratica siamo sempre alle tre “cause ostative” esibite come giustificazione quando ai primi di novembre scorso stava per mollare tutto. 

Le elenca Domenico Palmiotti sul Sole 24 Ore. “Abolizione dello scudo penale sul piano ambientale, rischio sequestro con spegnimento dell’altoforno – uno dei tre operativi della fabbrica -, ostilità all’investitore da parte della comunità e delle istituzioni di Taranto”. 

E, infatti, il sindaco Rinaldo Melucci ha immediatamente ripreso le ostilità, segnala Francesco Casula sul Fatto quotidiano. “Dopo l’ordinanza con la quale ha imposto ad ArcelorMittal di adeguare gli impianti entro 60 giorni per evitare l’ordinanza di chiusura, ieri pomeriggio ha incontrato le associazioni ambientaliste che da tempo chiedono lo stop degli impianti. Un’alleanza inedita che sembra delineare un’opposizione alle scelte calate dall’alto”. (fonti Il Fatto quotidiano, Il Sole 24 Ore, Ansa)