La Lombardia guarda all’estero per superare la crisi

Pubblicato il 14 Aprile 2012 - 18:01 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – Un’apertura sempre più spiccata e uno scambio sempre più fecondo con il tessuto produttivo dei paesi stranieri. È questa la ricetta scelta dalle realtà imprenditoriali della Lombardia per affrontare la difficile congiuntura economica degli ultimi anni. Una soluzione vincente stando ai risultati dell’indagine regionale sull’internazionalizzazione delle imprese lombarde presentata dalla Confindustria dell’Alto Milanese.

Le cifre. Nel 2011 l’export lombardo ha raggiunto quota 104.163 milioni di euro, con un aumento dell’8,4% rispetto a dodici mesi prima: sono stati così superati i livelli del periodo precedente alla crisi. Le esportazioni hanno inciso mediamente per il 39% sul fatturato delle imprese del campione che operano oltre i confini nazionali, con un incremento superiore all’1% rispetto al 2010, quando tale valore si era attestato al 37,7%. Tali risultati positivi sono stati trainati, per quanto riguarda l’Europa, dai rapporti commerciali sempre più stretti con Germania (+15,5%) e Svizzera (+25,8%), che rappresentano rispettivamente il primo e il terzo mercato estero di sbocco dei prodotti e servizi lombardi. Ma percentuali di crescita superiori alla media complessiva sono state registrate anche dalla maggior parte dei Paesi emergenti, come Emirati Arabi Uniti (+36,1%), Brasile (+23,6%), Turchia (+23,6%), Cina (+11,5%) e Russia (+11,2%). Si registra anche una sempre più marcata diversificazione geografica delle attività delle imprese lombarde: l’analisi delle zone in cui esse intendono sviluppare la propria presenza, per il triennio 2012 – 2014, rivela infatti che il 18% rivolge le sue attenzioni a nazioni non appartenenti all’UE dell’Europa centro-orientale, mentre il 17% guarda agli Stati latino-americani e il 16% al’Asia sud-orientale; seguono Nord America e Asia centrale con l’11%, mentre il Medio Oriente si ferma al 7 e il Nord Africa al 5.

Piccoli e connessi. Soffermandosi sui singoli settori, le imprese industriali (77%) si mostrano decisamente più sensibili all’internazionalizzazione rispetto al terziario (41%). Qui a guidare la graduatoria sono le attività manifatturiere: in primis la meccanica e mezzi di trasporto (84%), seguite dalle imprese della moda (tessile, abbigliamento, cuoio, pelletteria e calzature) con l’83% e dalla filiera dei prodotti elettrici ed elettronici (82%). Altra caratteristica delle imprese più aperte verso i mercati stranieri è la piccola dimensione: la percentuale di imprese interessate a forme di aggregazione per l’internazionalizzazione supera il infatti il 45% tra le realtà fino a 15 dipendenti, mentre scende a poco più del 20% tra quelle che impiegano più di 250 persone. Numeri giustificati dal fatto che proprio la dimensione limitata richiede strumenti che aumentino la massa critica e l’impatto sui mercati esteri, ambiti nei quali è cruciale il ruolo giocato dalle reti e dalle filiere produttive.