Ponzellini: il banchiere in camicia verde

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 4 Aprile 2011 - 15:05 OLTRE 6 MESI FA

Una poltrona d’oro cui Ponzellini fu destinato dal governo Berlusconi, per la precisione dal ministro Lamberto Dini, amico di famiglia (ricordiamo che il padre era consigliere superiore in Bankitalia). Poi Lambertow partì per altri lidi. Massimuccio, invece, trovò confortevole l’appoggio del centrodestra e se lo tenne stretto, in particolare coltivando il rapporto con Giulio Tremonti (qualcuno ricorda che anche Giulio iniziò la sua carriera parlamentare in antitesi a Berlusconi?). Ma il banchiere bolognese non è uomo da scelte di campo nette e irreversibili: è un compagnone, un amicone di tutti. Non sappiamo se sia vera o apocrifa la sintetica descrizione che del Nostro è stata data da un anonimo conoscente: “Ponzellini non è bipartisan, ma tripartisan o quadripartisan”. Un blogger a suo tempo infierì: “Tutti sanno che Ponzellini non cambia mai idea, al massimo l’affitta”.

Vero è che, anche dopo essere approdato nel protettivo golfo tremontiano, ancora agli inizi del nuovo millennio Ponzellini cercava di mantenere buoni rapporti con l’altra sponda: tramite la Editing srl, la Gm 762 e la Chiara srl il banchiere pigliatutto nel 2001 è stato socio di Nuova Iniziativa, editrice dell’Unità; quando poi nello stesso anno vi fu lo scontro Rutelli-Berlusconi, non potendo ovviamente finanziare il secondo, contribuì con una cinquantina di milioni di lire alla campagna elettorale del primo. Un assegno che gli costò caro: l’amico Tremonti lo voleva alla direzione generale del Tesoro ma pare che Gianfranco Fini si sia opposto per via del suo appoggio a Francesco Rutelli (altri dicono che la strada gli fu sbarrata dalla mancanza di una laurea: quella comparsa a un certo punto sul suo curriculum, della American University (?) quale “Doctor of International Law”, evidentemente lasciava perplessi i più).

Comunque sia, l’amico Giulio lo piazza dapprima a capo di Patrimonio spa – società creata per valorizzare il patrimonio pubblico che dopo qualche anno chiuse avendo valorizzato solo i conti correnti dei suoi dirigenti – e quindi della Zecca dello Stato, riportandolo a Roma dalle foschie lussemburghesi (Bei).

Dopo un biennio berlusconiano torna però al governo Prodi che, evidentemente, con Ponzellini non vuole più avere a che fare. Tant’è che il posto alla Zecca salta. E qualche tempo dopo, quando un quotidiano etichetta P. come “vicino a Prodi”, l’addetto stampa del Professore invia una piccata missiva: “Mi sembra opportuno precisare che, da oltre dieci anni, terminati i rapporti di collaborazione professionale, il rapporto di vicinanza tutt’ora esistente tra Ponzellini e il professor Prodi riguarda le rispettive abitazioni bolognesi, in effetti non molto distanti l’una dall’altra. Sarebbe quindi più opportuno parlare di vicinato più che di vicinanza”.

Freddato dal killer del Professore, Ponzellini comunque recupera altrove: alcuni imprenditori (Ligresti, Gavio, Benetton) che apprezzano la sua vasta rete di amicizie, estesa da Agnelli a Yunus, da Attali a Comunione e liberazione, dal Vaticano ai Rothschild ai Kennedy, lo ripescano per affidargli un ruolo di punta nella loro società, Impregilo, attiva nel campo delle grandi opere. Come presidente conta poco ma intanto è entrato nel giro che conta: la Impregilo ha per le mani business come la tangenziale est di Milano, la Pedemontana Lombarda, la galleria del Gottardo. Tutta roba guardata a vista dalla Lega.