La superbatteria italiana finanziata degli Usa: una svolta per i trasporti

di Alessandro Avico
Pubblicato il 1 Marzo 2011 - 15:21| Aggiornato il 17 Luglio 2011 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – Un litro di benzina contiene 35 volte l’energia immagazzinata in una batteria convenzionale al piombo e sei volte quella contenuta in una batteria agli ioni di litio, la più usata nelle auto elettriche di ultima generazione. “In questo rapporto, chiamato densità energetica, sta tutto il problema dei veicoli elettrici”, ragiona il ricercatore italiano Riccardo Signorelli, che di batterie se ne intende. Se esistessero batterie in grado di raggiungere la stessa densità energetica dei combustibili fossili e di caricarsi istantaneamente come un serbatoio alla pompa, il motore a combustione interna, insieme ai suoi mefitici gas di scarico, sarebbe già andato in pensione.

La missione di Signorelli è fare concorrenza alla benzina, migliorando la performance delle batterie. In tredici anni di studi, a partire dalla laurea in ingegneria elettrica al Politecnico di Milano fino al dottorato al Massachusetts Institute of Technology, questo bergamasco di 32 anni ha messo a punto un primo prototipo, che usa minuscole strutture di nanotubi al carbonio per immagazzinare energia. “Non si tratta di una batteria vera e propria, ma di un capacitore, che ha una densità di potenza molto maggiore delle batterie e può caricarsi e scaricarsi istantaneamente, quasi all’infinito, perché funziona in base a un principio fisico, non elettrochimico”, spiega il ricercatore italiano, che ha passato i suoi sei anni al Mit insieme a Joel Schindall, direttore del mitico Lees (Laboratory for Electromagnetic and Electronic Systems), a mettere a punto la tecnologia dei nanotubi al carbonio.

Ora il suo “ultracondensatore” ha ricevuto 5,3 milioni di dollari dal governo americano e altri 2 da investitori privati, per finanziarne lo sviluppo e l’industrializzazione, nel giro di due anni. Con il grant del ministero dell’Energia, Signorelli ha fondato la sua impresa, FastCap, arruolando anche Schindall come consulente, e parla ormai più volentieri l’inglese dell’italiano, soprattutto se il discorso si fa tecnico.

Le pareti dei tubi sviluppati da Signorelli hanno uno spessore di appena 12 atomi e crescono, come fili d’erba, alloggiando nei minuscoli interstizi particelle cariche di energia. In questo modo, si possono immagazzinare moltissime particelle cariche in un piccolo spazio, con strutture leggere. E siccome la connessione è fisica, non chimica, le particelle cariche possono staccarsi e attaccarsi quasi istantaneamente. Il risultato è una struttura ridotta, con una densità di potenza molto alta.