Salva Sallusti, multe, sospensione, rettifica: e se le applicassimo ai politici?

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 24 Ottobre 2012 - 14:31 OLTRE 6 MESI FA

ROMA –Mi sento diffamato da un “suo” discorso pubblico, quindi vado dal giudice e, legge alla mano, esigo che nel “suo” prossimo discorso pubblico sia pronunciata la mia rettifica, così come la detto io. E se “lui” non lo fa, allora multa da 5 a 25mila euro.

Se poi un giudice riscontra un “suo” intento o errore di diffamazione nei miei confronti, allora multa da 5 a 100mila euro, che “lui” la paghi e che il risarcimento a me offeso non sia inferiore a 30mila euro. E poi che “lui” sia sospeso dall’attività per sei mesi, due anni se recidivo. E se con “lui” sono altri due, pene raddoppiate. E se a qualche titolo “lui” fa parte di qualcosa che incassa soldi pubblici quei finanziamenti vengano cancellati.

Il “lui” nella nuova legge è il giornalista, e se invece fosse l’onorevole, il deputato o il senatore? Se applicassimo a loro la legge che loro stanno conducendo addosso all’informazione, se provassimo anche solo ad immaginare, se solo loro provassero ance solo ad immaginare per un momento il contrappasso…

Da 5 a 100 mila euro di multa, da raddoppiare se i colpevoli sono almeno tre, e da uno a sei mesi di sospensione dall’attività lavorativa, che arrivano sino a 2 anni in caso di recidiva, con conseguente blocco dello stipendio. E poi obbligo di rettifica nelle stesse forme e modalità, altrimenti altra multa.

Sono i punti salienti della legge “salva Sallusti”, o “legge bavaglio” a seconda dei gusti, che il Parlamento sta approvando. Con queste norme il direttore de Il Giornale si salverebbe sì dal carcere, visto che la detenzione sparirebbe dalle possibili sanzioni, ma al prezzo di una legge assai più dura nei confronti dei giornalisti. Legge fatta, come tutte, dai politici che però, mai come questa volta, è difficile considerare super partes. E se le stesse regole le applicassimo proprio ai politici? Cosa succederebbe e, soprattutto, le considererebbero onorevoli e senatori altrettanto eque e giuste?

Facciamo un esempio concreto di quello che sarebbe con la nuova legge in queste ore in discussione, e quindi ancora suscettibile di modifiche: se in queste righe scrivessi che l’ex ministro Claudio Scajola, seppur avendolo a suo tempo promesso, ancora non avesse venduto la casa a via del Fagutale, quella comprata a “sua insaputa” vicino al Colosseo a Roma, e lui si ritenesse offeso o diffamato e mi inviasse una memoria di 10 pagine, il mio giornale sarebbe obbligato a pubblicarla. Senza commenti e integralmente, pena la multa.

Anche se Scajola fosse effettivamente ancora il proprietario dell’immobile in questione. A prescindere quindi dalla verità e dalla realtà, la sanzione e l’obbligo di rettifica si fonderebbero, con le nuove norme, solo sul sentirsi offeso dell’interessato. Ma se questa normativa basata sul ‘sentimento’ di una delle parti la applicassimo alle dichiarazioni dei politici ne vedremmo certo delle belle.

Pensate solo a quanti giovani avrebbero querelato la ministra Elsa Fornero perché si sono sentiti offesi dal “choosy” da lei pronunciato. Se ogni dichiarazione potenzialmente offensiva, badate bene potenzialmente e non effettivamente offensiva, dei nostri politici fosse passibile di sanzioni avremmo come conseguenza il silenzio. Un passo avanti forse se applicato nei confronti di chi a volte passa più tempo a dichiarare che a fare, ma certo un passo indietro se applicato a chi le notizie le deve dare, comprese quelle che ai politici non fanno piacere.

E’ ovviamente un paradosso, sono cosa assai diversa politici e giornalisti. I primi sono scelti dal popolo e non assunti da un datore di lavoro, la politica a differenza del giornalismo non è, o almeno non sarebbe in linea teorica, una professione. E non devono i politici, a differenza dei giornalisti, superare un esame di abilitazione. Categorie e mondi diversi, ma non distanti. Anzi spesso assai vicini perché come scrisse qualcuno il giornalismo “è il cane da guardia della democrazia”. Ed è proprio questa vicinanza a svelare quello che sembra essere l’intento più profondo della riforma in discussione, e non è un intento nobile.

Nobile sarebbe evitare il carcere a chi non lo merita, anche se va riconosciuto che Sallusti è colpevole, colpevole di diffamazione, colpevole di aver fatto scrivere cose non vere e di averle fatte scrivere a un giornalista radiato dall’ordine, colpevole di non aver rettificato e colpevole di non essersi nemmeno scusato. Nobile sarebbe eliminare il carcere per questo tipo di colpe, pena certamente eccessiva.

Ma meno nobile, anzi tutt’altro che nobile, è partendo e nascondendosi dietro il nobile intento mettere un bavaglio all’informazione tutta. Un bavaglio fatto di multe salatissime, al limite e spesso oltre il sostenibile, un bavaglio fatto di rettifiche obbligate ma slegate dalla verità dei fatti. Un bavaglio che fa ovviamente comodo a chi con i giornali e con i giornalisti non va d’accordo. E quale categoria risponde a questo identikit? La domanda è ovviamente retorica. La riforma sembra volta, più che a normare, a punire.

Nonostante il paradosso allora, vista la vicinanza tra chi la legge scrive e il mondo a cui si applica, appare meno folle rivoltarla e applicarla a coloro che l’hanno scritta. Applichiamo questa norme ai politici, tecnici compresi. La Fornero, con il suo “choosy” avrebbe beccato come minimo un obbligo di rettifica, anzi più d’uno. Ma non essendo lei nuova a frasi che hanno potenzialmente offeso qualcuno, scatterebbe per la ministra la recidiva: da un mese a due anni di sospensione dalla carica, di ministro.

E quanti parlamentari, senza scomodare i tecnici e senza essere ministri, dovrebbero essere sospesi perché recidivi e quanti altri sarebbero diventati poveri a forza di pagar sanzioni. Basta prendere dichiarazioni a caso di politici di destra e sinistra per trovarne di sanzionabili con le norme in arrivo per i giornalisti. Eppure a destra come a sinistra quasi tutti sembrano essere d’accordo con questa nuova legge che anzi, seppur non ancora approvata, e quindi ancora senza la sua forma definitiva, rischia da qui al suo licenziamento di divenire persino più aspra e dura.

Scrive Francesco Merlo su Repubblica: “E anche il dibattito, che sarebbe bello ascoltare per intero, è stato surreale. È stata evocata, per dire, “la morte del commissario Calabresi ucciso da un giornale”, e “la cacciata del presidente Giovanni Leone ad opera della giornalista Camilla Cederna” che sono ormai episodi di storia antica. E il senatore Gerardo D’Ambrosio, non uno scatenato Pdl qualsiasi, ma il pubblico ministero del caso Pinelli – “malore attivo” ricordate? – che divenne poi eroe di mani pulite, pretende, in linea con Caruso, che in caso di diffamazione, dopo aver pagato la multa l’editore restituisca al governo parte del contributo pubblico eventualmente ricevuto.

Ora, si può e forse si deve proporre l’abolizione del finanziamento che lo Stato versa ad alcuni giornali, ma che c’entra con la diffamazione? Così è un raddoppio di pena, è un taglieggiamento…  Basta guardare le carte, leggere la montagna di emendamenti per capire che la galera di Sallusti è il pretesto per dare corpus legi ai rancori della politica. Anche se non ti aspetti che il rancore sia così bipartisan. Il senatore Felice Casson, per esempio, un altro magistrato, anche lui di sinistra, pretende come pena accessoria obbligatoria e non più facoltativa che il giornalista diffamatore recidivo sia interdetto, insomma non possa più scrivere, da uno a tre anni. Quasi come il senatore Lucio Malan che però è scatenato e dunque immagina un’interdizione perpetua. Di Lucio Malan, fotografato mentre faceva il pianista con tutte e due le mani in apparati di voto, si ricordano furiose lettere di smentita. Un giorno lanciò il libro del regolamento contro il presidente Marini. Espulso, per otto ore rifiutò di lasciare l’aula. (…) Ovviamente bisogna sapere distinguere. A volte il rancore può essere giustificato. Ma è sicuro che i rancorosi produrranno comunque solo norme rabbiose, il contrario dell’equilibrio della legge. Troppi politici hanno il dente avvelenato contro i giornalisti. È come se la legge sui medici fosse affidata a una commissione di pazienti. Pensate che un emendamento stabilisce che se il diffamato è un politico la pena viene quintuplicata. Ecco: l’onore di un politico varrebbe cinque volte l’onore tuo, fratello lettore”.

E visto che l’onore del politico vale 5 volte quello del cittadino, spingiamoci ancora più in là col paradosso: applichiamo la “salva Sallusti” ai politici, ma quintuplichiamogli anche le sanzioni.