Cultura in Italia, egemonia contesa fra destra e sinistra, ma il nodo è nel livello degli intellettuali

Cultura in Italia, egemonia fra destra e sinistra, il nodo è nel livello degli intellettuali oggi a confronto con passato e stranieri

di Giovanni Pizzo
Pubblicato il 16 Aprile 2023 - 10:40 OLTRE 6 MESI FA
Cultura in Italia, egemonia contesa fra destra e sinistra, ma il nodo è nel livello degli intellettuali

Cultura in Italia, egemonia contesa fra destra e sinistra, ma il nodo è nel livello degli intellettuali

Esiste la Cultura in Italia? Il punto interrogativo a questa affermazione è grande. Si fa un dibattito, più simile a un chiacchiericcio per addetti ai lavori, sul tentativo della destra di governo di stabilire un’egemonia culturale.

Dopo oltre sessant’anni di egemonia culturale di sinistra qualcuno potrebbe esclamare: Finalmente!

Ma è vero questo dibattito, che in alcuni casi sa di allarme, revanchismo, in alcuni casi qualcuno si spinge al fascismo culturale? Esiste oggi una proposta culturale di destra da diventare egemonica? A parte San Giuliano everywhere.

Intanto intendiamoci sul termine egemonico. Dal greco l’etimologia si potrebbe tradurre in supremazia, un’affermazione di potere dunque. Certo se si contano i passaggi televisivi, le passerelle nei luoghi di manifestazioni, spesso sovvenzionare e quindi non molto libere, sembra che ci sia una riscoperta della destra culturale. Ma che si ferma a riprendere figure e personaggi, da Croce a Gentile, scomparsi da un tempo infinito, rispetto al ritmo travolgente che ha archiviato il novecento.

Ci sono scrittori, intellettuali moderni, filosofi che sbancano sugli scaffali oggi in Italia che propongono il nuovo Verbo? Perché l’altra etimologia della parola egemonia viene da Heghemon, colui che conduce.

Onestamente non c’è nulla di nuovo, parafrasando Remarque, al di sotto delle Alpi da tempo. Anche la decantata egemonia culturale della sinistra si è fermata agli anni 70. Forse l’ultimo intellettuale degno di nota, scomodo e critico, fu un siciliano, Sciascia.

Poi gli anni 80, gli anni di Milano capitale, se li sono bevuti gli intellettuali, tra martini e scotch on the rocks. Mentre in America sorgevano giovani scrittori che dipingevano tragicamente o osteggiavano la cultura consumistica che diede origine alla globalizzazione, in Italia guardavamo da poco le televisioni a colori, ed i programmi nazionali popolari.

Sul mercato editoriale l’unico pensiero semi intellettuale, ma ci prenderebbe a pernacchie a leggerlo, era quello dell’ingegnere filosofo napoletano, Luciano De Crescenzo, in così parlò Bellavista, che vendeva centinaia di migliaia di copie.

Gli anni 80 furono anni di facili letture, di esistenzialismo à la carte, il brodo culturale che oggi ci porta ai Crepet o ai Recalcati. Una fuga dal Noi, dal senso della universalità, che fugge verso un individualismo che non può fornire crescita intellettuale. Di fatto l’Io contro il Noi, oggi Me contro Te, annulla lo studio dell’uomo come umanità, ne limita la storia, e mortifica il senso di un pensiero occidentale. Forse la fuga dal pensiero origina con gli Indifferenti di Moravia, intellettuale amaro e annoiato.

Oggi qualcuno ha chiavi di lettura critica come Sciascia o Pasolini? Negli anni settanta alcuni intellettuali per provocazione, come Nantas Salvalaggio o altri, come Marcuse o Susan Sontag, scrivevano su Playmen. oggi il maggior intellettuale francese, Houellebecq si annichilisce in un porno anziano, con giovani fans in menage a trois, che peraltro finisce grottescamente in un tribunale olandese.

La cifra culturale del passaggio dal 900 ai giorni nostri è proprio questo nichilismo, una resa alla globalizzazione e al pensiero unico. D’altra parte sarebbe difficile, in una società liquida come la descrive Baumann, trovare dei grumi culturali, degli addensamenti di pensiero. Il massimo della densità è il pensiero fluido.

Se poi guardiamo al mercato, e non alla cultura, editoriale tutto ciò è palese. In Italia si scrive di più, con tirature limitatissime, e si legge di meno che in tutta Europa. Produciamo scrittori affetti da narcisismo autobiografico, chi è senza peccato scagli la pietra. Ma fondamentalmente si legge pochissimo. In questo ha influito molto il web, forma facile e rapida di pensiero quotidiano, stradale, al limite, nelle massime espressioni, da bar.

Da qui la nascita di una cultura popolare, fatta da “l’ho letto sui social”, un forma di pastura acritica, senza profondità e responsabilità, per cui variabile e mutevole. Cultura in Italia ormai  sembra quasi un termine vintage, tra qualche lustro da storia del Novecento.

A meno che questo accorato allarme, di dittatura culturale, non sia focalizzato su Sanremo. Mettere eventualmente al bando Amadeus o Fedez sa di guerra più a Lucio Presta che disfida di Barletta culturale. Assomiglia alla cacciata dalla Rai di Biagi, Santoro e Luttazzi. Che non se l’abbiano a male, brave persone, ma che non possiamo accostare a Faulkner, Sartre, Bellow, Marquez, Saramago, Ginsberg,  Montale e nemmeno a Dario Fo, ultimo, anche se un po’ forzato, Nobel italiano. Dopodiché i Nobel hanno virato su Dylan, Bob non Thomas, e Toni Morrison. A questo punto potrebbe toccare a Jovanotti. Un ragazzo fortunato.