Fmi: con i salvataggi cresce il debito pubblico. Austerità una fatica di Sisifo

di Warsamè Dini Casali
Pubblicato il 23 Ottobre 2012 - 10:07 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – A dispetto delle eccezionali misure di austerità imposte ai paesi europei con i più gravi problemi di sostenibilità dei loro titoli di stato, Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna hanno ugualmente visto crescere il peso del loro debito pubblico rispetto alla ricchezza prodotta. Una fatica di Sisifo, un tentativo inutile e controproducente secondo il New York Times, che in prima pagina torna sul costo pagato dalle economie nazionali per compiacere la linea del rigore alla tedesca. Non si tratta più, secondo il quotidiano, di un dibattito aperto, di una questione controversa: i dati sul debito pubblico pubblicati da Unione Europea e  Eurostat prima e dal Fondo Monetario Internazionale poi, certificano il fallimento delle politiche di austerità.

Quelle statistiche concordano su una circostanza inaggirabile, che vale in particolare per la Grecia, ancora epicentro di potenziali disastri: chi ha fatto gli sforzi più ingenti per sistemare i conti pubblici, leggi tagli indiscriminati alla spesa pubblica e innalzamento del prelievo fiscale, ha visto anche i innalzarsi la percentuale di debito pubblico rispetto al Pil. Anche l’Italia, che ha cominciato più tardi la cura da cavallo, non si sottrae a questo destino ma per fortuna finora è riuscita ad evitare pericolosissimi “salvataggi”.

L’austerità è nemica della crescita, evidenza peraltro nota anche ai suoi più convinti sostenitori, come Monti (il quale disse “ho contribuito alla recessione, chi non se ne accorge è uno stolto”). Il problema è stabilire quanto durerà questa recessione. Quanto è lontana cioè la possibilità che i paesi coinvolti nelle misure di austerità ricomincino a crescere. Di prove empiriche della correlazione tra austerità e mancata crescita  ormai ne abbiamo abbastanza. Le ultime statistiche per molti economisti descrivono l’ovvio: ma in Europa la Germania non cede di un millimetro con la sua inflessibile politica “eat-your-peas”: mangia questa minestra o salta dalla finestra, è la minaccia verso gli sfortunati paesi presi in questa spirale perversa.

I nuovi dati sono la dimostrazione più plateale finora mai esibita di quanto un “bailout” sia la garanzia migliore per un aumento del debito pubblico. Ciò pone dei grossi interrogativi sulla capacità di ripagare nel tempo le obbligazioni sul debito. Lo ha compreso perfino l’Fmi, fino ad oggi il cerbero della finanza mondiale e dei salvataggi che strangolano. Nonostante l’opposizione tedesca la loro filosofia di fondo sta cambiando, avvicinandosi a un approccio come quello descritto da Jörg Krämer, capo economista alla Commerzbank di Francoforte: “Se vuoi rendere più sostenibile il peso del debito in Grecia, si dovrebbe trovare qualche forma di indulgenza e di ristrutturazione del debito”. Insomma misure meno stringenti, concedere ad Atene più tempo e forme più dilazionate per imporre le manovre economiche decise.

Finora la promessa della Bce di comprare titoli di stato senza limite ha funzionato per ridurre gli interessi sui bond a breve termine: a lungo termine il problema resta lo stesso senza una sterzata decisa per far crescere il denominatore stanco, il Pil. D’altra parte all’Fmi si rendono perfettamente conto del problema avendolo già sperimentato con gli aiuti degli anni ’90 in Estremo Oriente per nazioni come Indonesia, Corea del Sud, Tailandia protagoniste di boom economici prima della crisi del ’97: tanti programmi di aiuti con relative condizioni capestro, tanti anni di recessione. Per Arvind Subramanian, ex research director all’Fmi si tratta di “un esercizio di onestà intellettuale e un po’ di recitare il mea culpa”. La Grecia è al quinto anno di recessione, ha perso un quarto del Pil, ha il debito pubblico al 170%.