Genova, rivoluzione alla francese, cadono le teste volano gli stracci

di Franco Manzitti
Pubblicato il 5 Novembre 2013 - 07:42 OLTRE 6 MESI FA
Genova, rivoluzione alla francese, cadono le teste volano gli stracci

Genova, rivoluzione alla francese, cadono le teste volano gli stracci

GENOVA -Come ai tempi del Terrore, ogni giorno cade una testa. E sono teste di illustri personaggi che rivestono i ruoli chiave della ex Repubblica di Genova, assimilabili con le dovute proporzioni ai grandi del passato.

Cade con grande fragore la testa del presidente del consiglio regionale Rosario Monteleone, Udc, politico di lungo corso, democristiano, poi Rinnovamenti Italiano, poi Partito Popolare, poi Margherita, infine Udc, l’uomo di Casini a Genova. Piange quasi, mentre sul suo scranno di presidente dell’Assemblea ligure annuncia le dimissioni per il coinvolgimento nell’inchiesta della Procura della Repubblica di Genova sui soldi dirottati dai fondi pubblici destinanti al finanziamenti dei Gruppi consiliari.

Lo accusamo di avere dirottato nelle sue tasche 8 mila euro al mese, aggiungendole all’appannaggio di consigliere regionale, che non è certo uno stipendio da poveraccio con i suoi 12 mila euro al mese.

Si difende sostenendo di essere incorso in errori contabili. “Ho già restituito i 15 mila euro – piange proprio, quasi presentando la lettera di dimissioni al Consiglio che fino a ieri presiedeva. – Mi hanno pugnalato alle spalle per fare i furbi.”

È il dodicesimo indagato di una amministrazione regionale ligure, retta da una giunta che raccoglie il centro sinistra più, appunto, la sua Udc, che si ventava di avere inventato il “sistema Liguria”, alleanza a prova di bomba. E infatti a prova di bomba lo è, perchè regge anche a questi fuochi artificiali di scandali, che esplodono da mesi, crocifiggendo una classe dirigente regionale che si gira dall’altra parte.

Era partito tutto con lo scandalo delle mutande, che le avvenenti consigliere regionali si pagavano con i soldi pubblici ed ora passa attraverso la caduta di Monteleone, dimessosi dopo che già lo avevano fatto ben due vice presidente della Giunta Burlando, prima la ex Idv Marilyn Fusco, vera leonessa della politica ligure, passata in quattro anni dall’anonimato ai vertici della Regione, occhi azzurri, chioma corvina, fisico da indossatrice e marito superblindato, l’ex deputato Idv Giovanni Palladini, ex sindacalista della Ps e anche lui come in una giaculatoria, ex democristiano, ex popolare, ex Margherita e in sopvrappiù ex dipietrista ed ora anche nei transfughi dal leader molisano, anche lui scivolato su questi scandaletti.

E dopo la bella Marilyn, dimissionario un personaggio di tutt’altro spessore, Nicola Scialfa, preside delle più importanti scuole della Liguria, i licei classici di Genova, Cristoforo Colombo e Andrea Doria, il tecnico Vittorio Emanuele, diventato prima consigliere comunale di Rifondazione, poi entrato nelle grazie di Antonio di Pietro e, quindi promosso in Regione come consigliere e poi vice presidente, quando la Fusco era scivolata in una serie di inchieste, non solo quella sulle spese pazze, ma in ben più delicate questioni legate al suo ruolo non solo di numero due della presidenza, ma anche di potentissimo Assessore all’Urbanistica.

Undici coinvolti a zero, visto che questa raffica di indagini non ha smosso di un millimetro il vertice della giunta nella persona di Claudio Burlando, tutto impegnato a dirottare la sua linea all’interno del Pd verso Matteo Renzi, dove sta portando in dote il suo trentennale patrimonio di leader genovese e ligure, con l’ambizione di fare un rientro nella politica nazionale, dopo quasi 10 anni di governo ligure.

Ma dopo la testa di Monteleone, in un contesto molto diverso cade quella del presidente della Fondazione Carige, l’ottantatreenne Flavio Repetto, sfiduciato dal suo Consiglie di Indirizzo, che con 17 voti contrari decapita la Carige dal leader del suo azionista di maggioranza, a un mese esatto da quando era caduta la testa del presidente della banca stessa, il settantottenne Giovanni Berneschi, padre-padrone di Carige dopo avervi scalato in 57 anni di carriera ogni scalino e scalone, a sua volta sfiduciato dagli uomini di Repetto nel suo consiglio di amministrazione.

La caduta di Repetto, uno dei pochi imprenditori di livello nazionale espressi dalla Liguria negli ultimi lustri, anche se le sue origini sono strettamente basso piemontesi, è stata molto fragorosa per quanto oramai stra annunciata nel clima di terrore che sta serpeggiando tra le istituzioni genovesi.

Sì, perchè la banca Carige e il suo azionista di maggioranza, appunto la Fondazione, sono sempre state vissute come istituzioni, qualcosa di molto più alto degli enti locali e anche delle categorie imprenditoriali.

A Repetto che si è ritirato per ora con un gesto quasi silenzioso, affidando la sua spiegazione a poche righe di rivendicazione del suo operato durato sei anni e qualche mese e interrotto a tre anni dalla conclusione del suo madato, i ribelli del suo consiglio, tutte figure di secondo o terzo piano nelle gerarchie del decadente potere genovese e ligure, hanno contestato una sorta di autoritarismo e di governo monarchico assoluto, con delibere assunte senza consultare nessuno, che, però, sono sempre state votate anche dai contestatori all’unanimità.

Una vicenda paradossale, che molti hanno letto come la vendetta fredda, ma neppure troppo, perchè servita dopo solo un mese da Giovanni Berneschi, il presidente della banca e da Claudio Scajola, l’ex ministro imperiese, la cui testa è a sua volta rotolata più volte dal cesto delle decapitazioni, ma che poi è sempre tornata al suo posto. Questa volta chissà…….

Berneschi avrebbe accusato Repetto (con il quale aveva ccollaborato strettamente per sei anni, nell’intesa di rendere autonoma e non scalabile la Carige) di avergli preparato la trappola del rapporto della Banca d’Italia, che ha messo in mutande il vertice della banca, inchiodandola a sofferenze pesantissime a una necessità di ricapitalizzare per 800 milioni di euro entro l’anno e di facili crediti a personaggi non affidabili e sopratutto alla zavorra delle due società di assicurazione Carige Assicurazioni e Carige Vita, che stanno impiombando l’istituto genovese da decenni interi.

Scajola dal suo esilio imperiese avrebbe lanciato le sue frecce avvelenate a Repetto per vendicarsi di non avere visto inserire nel nuovo consiglio Carige, succeduto all’era Berneschi, alcun rappresentante di Imperia.

La Carige nasce come Cassa di Risparmio di Genova e Imperia e da questo si vede quanto interesse ha la terra di Imperia a sentirsi rappresentata, considerato che fino a questa rivoluzione di fine 2013 il vice della banca era Alessandro Scajola, fratello dell’ex ministro, a sua volta ex deputato dc ed ex sindaco di Imperia, così come lo era stato oltre al fratello anche il padre Ferdinando, intimo di Alcide di De Gasperi e di Taviani. Altre razze di uomini ed altri tipi di rapporti.

L’uscita di Berneschi, che ha appena abbandonato anche fisicamente gli uffici della torre moderna della Carige, nel cuore dei caruggi genovesi, salutando uno a uno i tremila dipendenti della banca, come farebbe un padre-padrone nel cuore dei suoi come lui è ancora a tutti gli effetti, è già stata rimpiazzata con il nuovo cda e con la scelta del nuovo amministratore delegato Piero Montani, 55 anni, un genovese di ritorno ex Bpm con solidissimo curriculum bancario, appena scelto personalmente dal nuovo presidente, il principe Cesare Castelbarco Albani. L’uscita di Repetto lascia un vuoto totale e l’ennesima contesa dura tra i “ribelli” e i “lealisti” che non gli hanno votato contro.

Il nuovo presidente della Fondazione sarà scelto nella prossima riunione del 19 novembre, ma sul suo nome regna una specie di silenzio quasi sospetto, come se la trama lunga, che nello spazio di tre mesi ha portato il cataclisma in banca si fosse interrotta ed ora i registi occulti di tutto il patatrac non avessero più l’asso nella manica. Ma chi sono i registi occulti se ci sono? I poteri bancari sovrannazionali? Le nuove regole di ispezione bancaria imposti dalla Bce, il terrore suscitato da tutto ciò nei vertici di Banca d’ Italia?

Il panorama genovese e ligure è talmente squassato che l’individuazione di una figura capace di andare a reggere le redini dell’azionista principale della sesta banca italiana per patrimonializzazione sembra un’impresa impossibile. Un nome che circola è quello del professor Renato Casale, ex preside alla Facoltà di Scienze Politiche, membro del consiglio di indirizzo e dulcis in fundo anche ex coordinatore ligure per la Pdl. Con molte riserve non sulla sua figura, ma proprio per il suo schieramento su un fronte politico ben preciso. Berlusconiano in una terra dove questa parte politica sembra essere stata sprayzzata, volatizzata.

Intanto la reggenza è affidata a un altro personaggio molto dicusso di questi anni di Rivoluzione genovese, quello del vice presidente, in carica oramai da dieci anni, Pierluigi Vinai, ex scudiero quasi personale dell’ex ministro Scajola, già impiegato della vecchia Dc, quarantenne membro dell’Opus Dei, protetto dal cardinale Tarcisio Bertone e segretario dell’Anci Regionale. Insomma, l’erede di due teste (o tre cadute) nel regno del terrore, un ministro, un cardinale e un partito dissolto da tempo almeno a Genova.

Tanto era “in grazia” questo Vinai, che due anni fa nel disperato tentativo di trovare un candidato moderato da opporre al marchese Marco Doria, in corsa per la sinistra più radicale, venne proprio lui investito a candidato dei moderati, vista la sua lunga fedeltà a Forza Italia-Pdl. Si dice che l’investitura, avvenuta probabilmente nei saloni un po’ scuri della Curia genovese, fosse non solo benedetta da Angelo Bagnasco cardinale allora potente e in auge, ma dallo stesso Berneschi: i moderati allora non si fidavano del candidato civico, l’ex Fi senatore Enrico Musso, considerato troppo laico e per questo poco affidabile.

Conclusione: Vinai non riuscì a entrare neppure nel ballottaggio che vide lo scontro tra il marchese e il professor Musso, con la vittoria netta del successore del grande ammiraglio Doria. Oggi Enrico Musso è solo consigliere comunale, neppure più senatore e fa il professore di Economia, “guatando” un orizzonte politico che neppure lui poteva immaginare tanto frastagliato.

In questa tempesta di teste che cadono, di regolamenti di conti postumi e di vendette servite tiepide e neppure fredde, ogni giorno non solo rotolano teste, ma si assiste a un film di continui colpi di scena e reazioni che solo poco tempo fa il tradizionale pudore genovese avrebbe reso inimmaginabili.

Giovanni Berneschi, uscito di scena da poco, si è sfogato in una lunga intervista-scoop a Giampiero Timossi de “Il Secolo XIX”, nella quale ha ammesso di avere goduto nell’assistere alla defenestrazione di Repetto ed anzi di avere pensato di restare a Genova e disertare un importante impegno romano alla Giornata del Risparmio per osservare da vicino alla caduta di colui che nel giro di pochi mesi è diventato un nemico odiato. Cose mai viste e mai udite: due anziani signori dal passato illustre e dagli indubbi meriti, che non solo si tirano i piatti, ma non lo fanno in cucina, si misurano come su un ring o meglio su un patibolo, qual è quello del regno del terrore genovese.

In realtà se Berneschi, carico come una molla, si è sfogato pubblicamente, non prima di avere rivendicato i suoi meriti bancari, che non sono pochi (“Ho preso la banca che aveva 600 dipendenti e la lascio che ne ha 6500….qualcosa avrò fatto”) e anche le soluzioni della crisi (“Non vi accorgete delle notizie: ho ottenuto dal ministro Fabrizio Saccomanni, quello che da dieci anni chiedo alla Banca d’Italia, la restituzione delle quote di via Nazionale che la vecchia Cassa di Risparmio aveva ceduto trenta anni fa e che sono 250 milioni, con queste restituzioni, una vendita di 100 milioni ed altre operazioni in vista, la ricapitalizzazione che salverà la banca è già fatta….”). Repetto, invece, tace.

Si e’ ritirato nella sua Novi Ligure, tra la nuova residenza e le fabbriche-modello del cioccolato Novi, un esempio di efficienza e qualità e in quelle che sono considerate “le dolci terre” aspetta che la Rivoluzione genovese affondi tutti i suoi colpi.

Il nuovo amministratore delegato Paolo Montani, impugnerà il timone della banca nei prossimi giorni, alla testa di un consiglio rinnovato, sotto l’occhio flautato del nuovo presidente, Cesare Castelbarco Albani, che appare sempre di più il regista di tutta l’operazione o almeno delle sue declinazioni sul territorio, anche se le rivoluzioni generalmente non sono mai in mano a chi ha nelle proprie vene il sangue blù.

Montani non arriva camminando su una passerella di fiori. Il suo addio a Bpm è anzi un po’ complicato per le vertenze che si sono aperte all’interno della sua ex banca: si parla di una buonuscita di due milioni di euro. E poi c’è il fronte giudiziario completamente aperto dalle Procure di Savona e di Genova.

La Procura di Savona ha già indagato Berneschi ed alcuni dei suoi manager più importanti per il credito concesso all’imprenditore Nucera, mentre costui era già in gravi difficoltà. Nucera oggi è latitante a Abu Dhabi, Berneschi è fuori e quello dei finanziamenti al discusso imprenditore savonese è uno dei pochi errori che ammette.

La Procura di Genova ha ben altra carne al fuoco, se si legge il rapporto di Banca d’Italia, generosamente fatto trapelare e nel quale ce n’è per tutti. Molti degli illustri membri dell’establishment economico genovese e ligure sono messi in fila come destinatari dei finanziamenti troppo facili di Carige.

Appaiono nomi nobili dell’economia marittima e terrestre, famiglie riservate di armatori, costruttori, imprenditori che avevano bussato con progetti, idee da Berneschi.

“Ho aiutato chi proponeva progetti per creare posti di lavoro”

sibila oggi l’ex presidente. La politica a sua volta decapitata osserva, entrando in campo sempre nel momento sbagliato. Quando partivano i carri della Rivoluzione tutti tacevano preoccupati.

Il sindaco Doria ora si raccomanda che la Banca resti legata al territorio.

Il cardinale Bagnasco congiunge le mani e recita la stessa preghiera.

Burlando, il governatore, fulmina tutto, sostenendo che “è una guerra per bande” e magari non si accorge della guerra per bande che sta dilaniando anche a Genova e il Liguria il suo Pd, dove la battaglia tra renziani e cuperliani è l’unica distrazione rispetto al patibolo del regno del terrore.

E nessuno si riesce a immaginare se arriverà o no un Termidoro