Genova dopo Garrone, città di faide fra potenti, vince il maniman, la cautela che vien da lontan

di Franco Manzitti
Pubblicato il 7 Aprile 2024 - 09:29
Genova

Genova

A Genova, in fondo è sempre successo così, fin dai tempi che questa era la Superba, la città che dominava sui mari e che Petrarca ammirava con i suoi versi scolpiti come su una lapide: “Vedrai una città Regale, addossata a una collina alpestre, Superba per uomini e per Mura, il cui solo aspetto, la indica Signora del Mare…….” Anno 1328 e già dentro a quelle Mura le liti tra famiglie, le guerre intestine erano come un filo conduttore della potenza e, un paio di secoli dopo, nel 1547 la congiura dei Fieschi per assassinare Andrea Doria, il grande ammiraglio, è stato il culmine delle lotte di potere per conquistare il governo della Superba.

Quindi oggi nel terzo millennio la disfida, diventata un po’ una farsa, per conquistare non le antiche mura, ma il vertice di Confindustria tra Edoardo Garrone, ex petroliere, oggi presidente della Erg, dell’Ospedale Gaslini e de “Il Sole 24 ore”, sessantenne primogenito di Riccardo, ex presidente della Sampdoria e Antonio Gozzi, presidente Duferco e di Federacciai, ex giovane socialista lombardiana, non stupisce.

Ma deprime una città che sta cavalcando il grande cambiamento della sua trasformazione su una cresta alta: il nuovo porto, i nuovi tunnel, i nuovi treni veloci, perfino le funivie, gli skymetro, i parchi acquatici……

Sessanta anni dopo il regno confindustriale di Angelo Costa, l’armatore-doge, capo di una famiglia tutta speciale, con credo religiosi e imprenditoriali unici, che guidò gli industriali italiani nella ricostruzione postbellica, Genova poteva agguantare quel vertice. In tempi completamente diversi, ma con una possibilità in più: la città che appunto sta facendo la sua transizione e Confindustria che cerca un presidente “forte”, da “manifattura”, dopo tante presidenze rispettabili ma non incisive.

Gozzi e Garrone lo erano e lo sono. Il primo con un’azienda multi europea, partita dalla produzione e dal commercio dell’acciaio, con sede in Lussemburgo e dependance in tutta Europa e allargata in tanti altri impegni anche moderni, come Wylab la società che ha inventato il data base chiave sul mondo del calcio, che mostra ovunque partite e calciatori nel circo barnum del pallone, fino alla presidenza della Entella, la squadra di calcio di Chiavari da lui fatta salire dai dilettanti fino alla serie B.

Il secondo, che con i suoi fratelli ha cavalcato con successo la trasformazione dal petrolio alle energie rinnovabili della Erg, azienda fondata dal nonno Edoardo I, che aveva costruito le sue raffinerie nella valle industriale di Genova, conquistando il mercato, ma aprendo un confronto durissimo con la città, per anni divisa tra quella produzione molto inquinante e un riordino urbanistico, cavalcato dalle prime giunte rosse, vittoriose sulla Dc di Paolo Emilio Taviani, il leader che con Giorgio Bo, ministro delle Partecipazioni Statali aveva fatto diventare la città capitale dell’IRI.

Anche Edoardo Garrone II si è scontrato con il mondo del calcio, ereditando dal padre la Sampdoria e liberandosene vendendola al molto discusso Ferrero, ex comparsa di Cinecittà, proprietario di cinema a Roma, personaggio che stava conducendo la società alla rovina con conseguenze che ricadevano sui Garrone, suoi iniziali garanti.

Questa disfida confindusriale, lontana secoli dai precedenti, è stata letta con un po’ di faciloneria come l’ennesima coniugazione di un antico e sempre applicato detto genovese “maniman”, termine intraducibile, che significa in questo caso lasciar andare anche le proprie aspirazioni e pretese, purchè il tuo concorrente non vinca.

Gozzi e Garrone si sono mossi nella battaglia confindustriale, nella quale avevano ambedue grandi chances più per far perdere l’altro che per conquistare la presidenza?

Non è stato proprio così, anche se questo andazzo zeneise va ancora molto di moda nel teatrino genovese della politica e non solo. Gozzi era entrato in scena già a dicembre per vincere la sua battaglia e perfino Garrone lo aveva applaudito.

Poi un gruppo forte di potere tra gli industriali, con Tronchetti Provera, Emma Marcegahlia, Fedele Confalonieri, Gianfelice Rocca e perfino Luca di Montezemolo, avevano convinto il presidente Erg a correre, perché una eventuale vittoria di Gozzi non era gradita all’ establishment confindustriale.

Troppo anti green? Troppo acciaieria, troppo autonomo? Chissà. Così la candidatura garroniana aveva spaccato anche il fronte genovese ben compatto finalmente intorno alla prima candidatura, superata dalla seconda che sembrava avere grandi chance e grandi appoggi. Non è stato così, perché la bilancia dei voti, difficile da calcolare nei veleni confindustriali, nelle ripicche interne, nei giochi con il governo meloniano e i suoi ministri, si è spostata proprio grazie ai voti di Gozzi, escluso anche un po’ subdolamente dalla contesa con il verdetto dei tre saggi, che si sono spostati invece che su Garrone sull’altro contendente rimasto in campo, l’emiliano Emanuele Orsini, industriale delle costruzioni e leader di Filoprosciutto, non esattamente il modello di presidente, disegnato in partenza.

E così Garrone, calcolate le divisioni consumate in tutta la battaglia elettorale e la sua sconfitta inevitabile, ha fatto il “bel gesto” di ritirarsiri alla vigilia del voto, lasciando la vittoria al candidato unico con la spiegazione che in questo modo si ricostruiva una unità distrutta nelle more della battaglia elettorale, in realtà da lui accesa. Forse già con il pensiero di non condurla fino in fondo.

Più che il maniman genovese in questa storia non edificante probabilmente hanno trionfato le forze esterne, i potentati confindustriali, che volevano un presidente più controllabile che non fosse Gozzi.

Lo sarebbe stato Garrone, lanciato in corsa come un puledro vincente; per i suoi trascorsi da presidente nazionale dei Giovani Industriali, vice presidente sia di Marcegaglia, che di Luca di Montezemolo.

Ma a Genova la contesa continua a essere inevitabilmente vista come una dimostrazione che quel maniman vince sempre, perché la conclusione è che quei due pretendenti si sono mossi per far perdere l’altro, con il risultato di far perdere Genova.

Garrone scendendo in campo senza preavviso e alla fine senza preavviso ritirandosi. Gozzi , furibondo per l’esclusione, non offrendo i suoi voti a Garrone nella battaglia finale, ma al suo concorrente.

Alla fine poi tutta la storia viene vista come una farsa, una barzelletta con finale appunto beffardo: avevamo due candidati forti, fortissimi e siamo rimasti a zero.

Contava poi molto questa presidenza a Genova nella sua evoluzione così complessa, trainata soprattutto da un sindaco manager come Marco Bucci e da Giovanni Toti, il presidente della regione sempre in prima fila, dal taglio del nastro in bocciofila a quello del cantiere per le opere ciclopiche della diga portuale e del tunnel subportuale?

C’entrava eccome in una fase nella quale la quota industriale nella città in trasformazione conta molto, sia per gli equilibri generali sia per alcune battaglie-chiave.

La prima, quella che deve salvare l’ex Ilva, ex Acelor Mittal, ex Italsider, l’acciaieria che era la prima a ciclo integrale in Italia e in Europa, il sale dei genovesi nella ricostruzione dei tempi di Oscar Sinigaglia e Ernesto Manuelli, oggi in crisi totale con i lavoratori in piazza e un territorio preziosissimo e molto vasto, la grande risorsa dello sviluppo, semi abbandonato tra le banchine portuali e l’aeroporto.

La seconda proprio quella delle infrastrutture, che Genova deve costruire e completare per salvarsi dall’isolamento. Non solo il Terzo valico che sta per sbucare a Genova con le sue gallerie, dopo 110 anni di attesa, ma le autostrade collassate dai cantieri riparatori di decenni di incurie, quelle che hanno procurato la tragedia del Morandi, proprio dopo la privatizzazione degli anni Duemila, l’aeroporto rilanciato per catturare il traffico dei milioni di croceristi, che ogni anno arrivano a Genova, sbarcando dalle navi colosso o andando a imbarcarsi.

Un presidente di Confindustria genovese sarebbe stato un bel link con l’ultima notizia che ha scosso la città: lo sbarco di Luigi Aponte come editore acquirente, con il suo gruppo, dello storico giornale, “Il Secolo XIX”, venduto dalla Gedi a uno degli armatori più potenti al mondo, già ben coinvolto nel porto genovese e nei sistemi infrastrutturali, tra terminal, flotte di portacontainer e di grandi crociere.

Il dialogo Aponte-Confindustria sarebbe stato più diretto e capace di produrre altri effetti nell’interesso comune e con una firma anche genovese. Ma maniman………..