Genova. Alluvioni: si poteva evitare, torrenti sporchi, nessun allarme

di Marco Benedetto
Pubblicato il 4 Novembre 2011 - 23:45| Aggiornato il 5 Novembre 2011 OLTRE 6 MESI FA

Resta il dubbio che mai ci saranno risposte e che, se ci saranno, non ne resterà traccia. Su un punto non esiste dubbio: che poi tutto rientrerà nella routine del disinteresse.

In questi 41 anni a Genova hanno fatto un acquario, costruito un inutile tendone di cemento su un molo del porto, buttato giù un monte, sì un monte, quello di San Benigno, e costruito al suo posto un grattacielo. Ma i soldi per mandare due ruspe a pulire il greto del Bisagno e degli altri torrenti non li hanno trovati.

Ho recuperato un articolo che scrissi per la Stampa nel1971, nell’anniversario della alluvione. Rileggerlo mi ha dato un brivido: da allora nulla è cambiato, forse, ma non sono in grado di accertarlo, sono riusciti in 40 anni a fare riconoscere dallo Stato l’esistenza giuridica del Bisagno. Per il resto,zero.

Ah, sì, c’era, come c’è ancora, il problema delle competenze, compete allo Stato, alla Regione, alla Provincia, al Comune. Ma quando hanno dovuto trovare i soldi per opere di regime, allora l’accordo c’è stato, le difficoltà burocratiche si sono superate. Il problema è che i problemi della micro industria, l’assetto del territorio attorno a un fiumiciattolo sono fatiche immense, richiedono ore di lavoro, studio, concentrazione, mentre il ritorno in termini elettorali e di visibilità è assai misero. Per non dire che raspare il fondo di un torrente non è glamour, non fa titoli sui giornali, non dà occasioni da foto, da comizi. Non si deve dire che non dovevano ristrutturare i magazzini del cotone, dare nuova vita a una parte di porto in abbandono. Ma nessuno mi leva dalla testa che la convergenza di interessi economici, politici e banalmente di vanagloria ha fatto preferire le opere edili a quelle di manutenzione idrica.

Ve lo vedete un politico che fa un discorso, sulla riva di quel torrente maledetto, dove d’inverno picchia un vento gelido che ben conoscono generazioni di calciatori dilettanti che la domenica si misurano su quei campetti rubati all’acqua.

Proprio qui è la origine della tragedia. La fame di spazio di Genova ha spinto, sempre, a utilizzare quel torrente quasi sempre secco come valvola di sfogo per quelle attività che non avrebbero mai remunerato, ai tempi della Repubblica come oggi, i capitali investiti. Una volta, alla Foce, c’era il lazzaretto, proprio dove ora sorgono i bei palazzi bianchi che guardano il mare e la Fiera.

Se alla mancanza di spazio aggiungete la incapacità di programmare e pianificare della burocrazia di oggi, ecco che avete la ricetta che spiega quasi tutti i disastri. Una piccola nota: prendersela con i politici lo faceva anche Totò; la vera casta sono i burocrati, i funzionari e gli impiegati della pubblica amministrazione, intoccabili, insindacabili, ingiudicabili.