Spesa pubblica. Non sprechi né tagli, ma investimenti e appalti per tornare a crescere

di Gustavo Piga
Pubblicato il 15 Luglio 2013 - 06:34| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Spesa pubblica. Non sprechi né tagli, investimenti, appalti per crescere ancora

Paul Krugman, premio Nobel: ha criticato i guru dei tagli

Tagliare la spesa pubblica, ma che spesa? Aumentare la spesa pubblica, ma quale spesa? Il futuro della economia in Italia e quindi il nostro futuro è in larga misura nelle nostre mani. Molto dipenderà dalle scelte di politica economica che faranno oloro che abbiamo delegato a governarci e quella galassia di burocrati che hanno il potere effettivo e i guru che questi burocrati stanno ad ascoltare.

Per farci una opinione, vediamo alcuni dati.

I consumi delle famiglie sono scesi del 6% in due anni (2012-13) per la mancanza di reddito e di aspettative nerissime sul futuro.

Vediamo la spesa pubblica: c’è chi dice che è da tagliare.

Il totale delle spese correnti al netto degli interessi dal 2010 al 2012 (lasciamo stare le stime sul 2013, non le voglio nemmeno vedere, tanto qui tutti fanno le stime che gli fa comodo) è sceso in euro da 670 miliardi a 666 miliardi, dal 43,2 al 42,6% del Pil. E qui di sprechi ce ne sono tanti, ma non pare che ci sia molta voglia di fare qualcosa.

La spesa per investimenti pubblici è scesa da 52 miliardi a 37 miliardi. Qui è il nodo dei nostri dolori.

Quindi il totale della spesa al netto degli interessi è scesa complessivamente dal 46,5 al 45,6% del Pil.

L’ Italia ha bisogno di meno tasse sul lavoro e meno tasse sui consumi? Possibile, ma parlate con gli imprenditori: non se ne fanno nulla degli abbattimenti di costo sul lavoro giovanile, perché non vogliono assumere, perché non c’è domanda. E la domanda delle famiglie in questo clima non crescerà con una riduzione dell’1% dell’ Irpef:  le famiglie con poco ottimismo risparmieranno, altro che consumare.

Crescerà con maggiore domanda pubblica, vera domanda pubblica di cui il sistema economico è avido. Non sprechi, che spesa pubblica non sono. Appalti, lavoro, lì sì che ripartiranno consumi e investimenti privati.

Aumentare la spesa pubblica significa maggiori tasse? Per ora constatiamo che la spesa è scesa e le tasse sono aumentate, dal 46,6% al 48,1% del Pil dal 2010 al 2012. E perché? Perché l’equazione è stata l’inevitabile conclusione della lezione errata di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: fate meno spesa e fate equilibro dei conti pubblici – portata avanti sulla prima pagina del Corriere della Sera per anni.

Alberto Alesina, giova ricordarlo, è stato molto criticato dal premio Nobel Paul Krugman, perché i suoi studi sulla “austerità espansiva” hanno fornito la “presunta giustificazione intellettuale” alla dottrina della austerità, benché siano stati ferocemente criticati già all’indomani della loro pubblicazione”.

Francesco Giavazzi, quando si è dovuto cimentare sul campo con dei tagli, è partito promettendo miliardi e ha chiuso con pochi milioni: indicati, ovviamente, non effettuati.

Quale è il risultato di queste dottrine? Meno spesa in recessione, meno Pil; meno Pil, meno entrate; meno entrate, più deficit; più deficit, meno spesa in maggiore recessione; ….. devo continuare?

E’ triste vedere i tabù di quegli economisti, che non hanno voglia di guardare i dati, ma sono solo capaci di reiterare formule ideologiche che hanno un impatto doloroso sulla vita di tante persone.

Secondo Alesina e Giavazzi,

“dall’esperienza dei Paesi europei che negli ultimi tre anni hanno cercato di uscire dalla crisi tagliando il debito e ricominciando a crescere, si impara una lezione molto chiara. L’Irlanda, che ha corretto i conti soprattutto riducendo le spese, ha ricominciato a crescere: la stima per quest’anno è un aumento del prodotto pari all’1,3%. L’Italia invece si è limitata ad aumentare la pressione fiscale senza far nulla per ridurre le spese delle amministrazioni pubbliche, che anzi continuano a crescere”.

Andiamo a vedere l’Irlanda. Cresce (si fa per dire) dello 0,7% nel 2012. Ben poca roba, pare proprio un “non” modello, ma comunque ben più dell’Italia.

Vediamo allora perché cresce. Per i consumi privati? Oh no, come in Italia crollano, dell’1,8%. Forse cresce perché gli imprenditori fanno più investimenti privati. Oh no, crollano del 2%.

Sarà la spesa pubblica ad aver salvato l’Irlanda? No, anche gli irlandesi usano stupidamente la politica economica (in fondo fanno parte dell’area euro): la domanda di beni, servizi e lavori pubblici è scesa del 3,6%.

Insomma la domanda interna è scesa del 2,3% generando disoccupazione e minor PIL. Bella performance! Altro che effetto positivo delle minori spese pubbliche!

Ma allora cosa è che fa sì che l’Irlanda cresca?

Risposta: ciò che in mano all’Irlanda non è, ovvero la domanda da parte del resto del mondo. L’export irlandese complessivamente cresce del 2,6%. Esattamente come in Italia, gli irlandesi sono, come noi siamo, ”salvati” dall’export, non dalla minore spesa pubblica, il cui andamento anzi ci mette tutti in grave difficoltà.

Ma allora perché noi crolliamo mentre l’Irlanda resiste? Una differenza con l’Italia c’è. Quando il resto del mondo tira, l’Irlanda sale molto di più di noi. Perché il suo export supera … il 100% del PIL. E’ una piccola economia aperta il cui destino è totalmente nelle mani altrui.

La domanda interna in Italia è ben più rilevante per l’andamento dell’economia ed ecco spiegato perché soffriamo così tanto di più per le stesse stupide politiche europee.