Giulio Andreotti, le frasi più celebri. “In fondo, sono postumo di me stesso”

Pubblicato il 6 Maggio 2013 - 14:29| Aggiornato il 14 Marzo 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – “Morire? Non sono pronto. Spero di morire il più tardi possibile. Ma se dovessi morire tra un minuto so che nell’aldilà non sarei chiamato a rispondere né di Pecorelli, né della mafia. Di altre cose sì. Ma su questo ho le carte in regola”. Giulio Andreotti, morto il 6 maggio 2013, amava la vita. E amava viverla intensamente, come ha fatto per tutti i suoi 94 anni. “Il potere logora chi non ce l’ha”, diceva. Lui, che ce l’aveva, non era stato logorato.  Ma piuttosto che morire, meglio vivacchiare, o come diceva lui: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.

Le esperienze gli avevano dato una vena umoristica nel senso pirandelliano del termine: “L‘umiltà è una virtù stupenda. Ma non quando si esercita nella dichiarazione dei redditi”. E ancora: “Vi è un genere pericoloso di numismatici: i collezionisti di moneta corrente”. E ancora, “Io distinguerei i morali dai moralisti, perché molti di coloro che parlano di etica, a forza di discutere non hanno poi il tempo di praticarla”.

Che gli eventi, pur nel successo complessivo, non fossero stati sempre benevoli lo dice uno dei suoi motti più noti: “A pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina”.

Per la sua morte non ci saranno funerali di Stato. Del resto al sette volte presidente del Consiglio non piacevano le cerimonie. “Di feste in mio onore ne riparleremo quando compirò cent’anni”. “In fondo, io sono postumo di me stesso”.