Vendola, gay, cattolico e comunista: “Accettato più dai preti che dal partito”

Pubblicato il 16 Aprile 2010 - 10:35 OLTRE 6 MESI FA

Nichi Vendola

Nichi Vendola, classe 1958, probabilmente il più amato esponente della sinistra italiana, da poco rieletto governatore della Regione Puglia, dopo aver sbaragliato alle primarie il candidato dell’ala forte dell’opposizione, Francesco Boccia, si confessa. Già nel suo nome, Nichi, porta inscritte le sue due anime: “A casa mia, a Terlizzi, c’erano due grandi ritratti, uno accanto all’altro: Yuri Gagarin e Giovanni XXIII; ai miei genitori venne spontaneo trasformare il nome del santo patrono di Bari, Nicola, in quello dell’allora capo dell’Urss Nikita Kruscev. Già all’asilo tutti mi chiamavano Nichi”.

La spiegazione del nome, da lui messa ad incipit della sua biografia online, è confermata nel racconto che il politico fa di sé al Corriere della Sera. “Sono sempre stato cattolico e omosessuale, non l’ho mai nascosto. E dichiararsi non è pettegolezzo. E’ carne, fatica, sangue, dolore, emarginazione, offese, violenza. Sono sempre stato anche cattolico e comunista, come la mia famiglia. Ed è stato forse più facile dire la mia omosessualità ai preti che al partito”.

Era il 1978 quando Vendola, vent’anni, da sei era nella Federazione giovanile comunista, si dichiarò con un articolo su un giornale da lui fondato, ‘In/contro’. Titolo: ‘Le farfalle non volano nel ghetto’. “Era un verso che avevo trovato in una raccolta di poesie scritte nel ghetto di Varsavia. E ho avuto tutte le difficoltà che potevo avere, nel partito, al Sud, al paese”, Terlizzi, periferia di Molfetta, terra di braccianti. “Mi ha sempre affascinato il pensiero religioso. Ero uno di quei comunisti per cui il libro più importante è la Bibbia”.

Tra gli altri autori amati dal governatore, Sergio Quinzio e il cardinal Martini. Di un altro religioso Vendola si dichiara “discepolo”: “il vescovo di Molfetta, il mio vescovo, Tonino Bello”.

A chi si chiede l’accoglienza riservata ad un gay nella Chiesa, Vendola risponde: “Ho parlato della mia omosessualità con molti preti, con uomini e anche con donne di Chiesa. Non mi sono mai sentito rifiutato. Sono state anzi interlocuzioni belle, profonde. La Chiesa è un universo ricchissimo e complicato, non riducibile a nessuna delle categorie politiche che usa la cronaca. Nella Chiesa ci sono molte sensibilità, molte cose; e qualcuna crea dolore e tristezza, quando evoca stereotipi pseudomorali che non hanno solo l’effetto di indicare identità ideologiche, ma anche di ferire la vita delle persone”.

“Dio non è un tribunale islamico”, dice Vendola, affermando di non aver mai rinunciato alla fede, di credere più che alla rivoluzione alla conversione permanente, di confidare che Dio saprà capire anche quelli come lui, di non amare il coté “pirotecnico, esibizionista”. Per questo in passato non apprezzò le confessioni di bisessualità rese da altri politici, “una dichiarazione che si faceva a 18 anni per fiutare un po’ l’aria. Anch’io sono stato bisex, e avevo fidanzate bellissime. Sono stato sul punto di sposarmi due volte. Ma non ho mai raccontato bugie, ho sempre vissuto quei rapporti da omosessuale”.

Tempo fa raccontò di quando “un dirigente nazionale di An venne a fare campagna elettorale nel ‘94 e tentò di stroncarmi accusandomi di andare con i ragazzini, peraltro pagati per dirlo. Andò via con le pive nel sacco, mentre io ricevevo migliaia di lettere di ragazzi che mi dicevano grazie per avergli dato coraggio”. Anche questa è una storia lontana, “oggi ho disimparato l’odio”.

Una volta, nel comitato centrale del Pci, l’autorevole compagna Marisa Rodano disse rivolgendosi indirettamente a lui: “Se uno di questi mettesse le mani su uno dei miei nipotini gli darei subito una sberla”. Si dibatteva dei diritti degli omosessuali, dei carcerati, di tutte le minoranze e Vendola, che aveva fondato l’Arcigay, predicava la liberazione dei “soggetti smarriti”, titolo del suo primo libro.

Prima aveva scritto la tesi di laurea sul Pasolini degli anni ’50, cacciato dal Pci per indegnità morale. Pasolini: anch’egli cattolico, comunista, omosessuale. “Ma lo si può amare senza essere come lui, dice Vendola. Pasolini, come Testori e in fondo anche Fassbinder, ha avuto il grande merito di tirare la sua condizione di omosessuale fuori dall’oscurità; ma l’ha illuminata con le fiamme dell’inferno. L’omosessualità di Pasolini è molto segnata dal suo cattolicesimo. Lui si percepisce come il Cristo della diversità: una condizione vocata al martirio, a causa del senso di colpa. Io amo Pasolini come amo Testori e Fassbinder, ma mi rifiuto di accettare questa visione. Ho sempre cercato di trascenderla, e questo mi ha aiutato a essere una persona serena, a uscire dal tunnel senza fine del senso di colpa”.

Sull’essere padre, Vendola fece discutere quando disse: “Non vorrei morire senza aver vissuto l’esperienza della paternità”.  Ma oggi chiarisce: “Non intendevo annunciare che sarei diventato padre, o che avrei fatto un’adozione che peraltro la legge mi vieta. Ma mi sento di ribadire il mio desiderio di genitorialità. Sento molto la tutela del vivente. Sono contro la mercificazione e la privatizzazione della vita. Il tema fondativo del futuro è la costruzione della vita nelle forme di comunità. Il sangue non c’entra: per me la paternità non è un dato fisiologico, limitato al proprio seme. Allevare un figlio significa accudirlo, conoscerlo, ascoltarlo; amarlo. Dev’essere una cosa bellissima. Per questo, ogni volta che leggo di un neonato abbandonato, provo una stretta al cuore”.