Storia di Diego Milito, goleador di Chiampions, e del suo colpo di fulmine con Enrico Preziosi, del suo amore col Genoa, e del trionfo con l’Inter

Pubblicato il 27 Maggio 2010 - 08:20| Aggiornato il 15 Marzo 2011 OLTRE 6 MESI FA

Con Diego Milito, allora ventunenne centroavanti di belle speranze argentine, considerato un po’ meno forte del fratello Gabriel, difensore roccioso, nonno e nonna italiani (Salvatore Milito e Caterina Borelli), chiare origine calabresi, il colpo di fulmine era stato secco. “ Io il giocatore devo guardarlo negli occhi e a lungo, spiega Preziosi, devo capire di che pasta è fatto, devo capire le sue convinzioni, la sua voglia. Non mi basta vedergli toccare la palla”. E di occhiate tra Milito e il presidente del Genoa deve essercene stata una subito fulminante.

Diego arriva a Genova nel 2003, a campionato iniziato. Un centroavanti argentino, dalla faccia triste. Quanti ne hanno visti di sudamericani dentro allo stadio di Marassi dai tempi di Alberto Stabile, detto, El Filtrador, per come penetrava nelle difese avversarie, quello che, sbarcato il sabato dalla nave in arrivo da Baires e fatto scendere in campo la domenica, ne infilò quattro nella rete avversaria. Al Julio Cesare Abbadie, l’uruguayano superpettinato degli anni Cinquanta e Sessanta, che aveva la felinità di un leopardo in area.

Ma anche ai tanti “bidoni” presentati come genii del pallone, come quell’Alberto Calvanese, argentino, che non fece mai un gol o come quel brasiliano dal nome dubbio, Josè Chagas Eloi, che la tramontana del vecchio stadio genovese spazzava via prima dei difensori avversari, tanto era inconsistente.

Milito appena arrivato dall’Argentina e Preziosi si fiutano bene, quando il campionato del 2003-2004 è già cominciato, il nono campionato di serie B per il glorioso Grifone retrocesso dalla serie A inesorabilmente e mai più risalito.

“Ho capito subito chi era”, dirà ( e come non potrebbe?) Preziosi, ma qualcuno nello staff un po’ malmostoso del Genoa arriccia il naso: “Quello non è buono, è un po’ lento e farraginoso, un po’ troppo argentino”, commenta uno dei tecnici rossoblù, che oggi si inghiottirebbe non solo la lingua. Ma Preziosi è uno di quei presidenti che ha solo una parola e che si fida moto di se stesso, sopratutto e in particolare da quando un tecnico del Saronno gli disse che quel lungagnone del centroavanti della Lodigianesi, campionato semiprofessionistico milanese, dal nome di Luca Toni, non era per niente buono.