Profughi in parrocchia? Niente scherzi li scelgono i parroci

Pubblicato il 13 Settembre 2015 - 15:18 OLTRE 6 MESI FA
Profughi in parrocchia? Niente scherzi li scelgono i parroci

Il cardinale di Bologna, Carlo Caffarra: attenta selezione dei profughi da ospitare

BOLOGNA – Una famiglia di profughi in ogni parrocchia? Sì, bello, ma…

Papa Francesco dispone ma sono i preti, o meglio, in questo caso i cardinali a disporre. Papa Francesco ha invitato tutte le parrocche in Europa a accogliere almeno una famiglia di profughi, ma il cardonale di Bologna, Carlo Caffarra, ha posto dei paletti ben precisi.

Non un’accoglienza emergenziale di persone appena arrivate, ha chiarito il principe della chiesa stanziato a Bologna, ma di singoli o nuclei familiari già identificati o conosciuti, con percorsi di accoglienza tramite la Caritas diocesana e con la corresponsabilità dei parrocchiani perché da soli i sacerdoti non potrebbero far fronte al bisogno e “in tal caso si prenderà atto con dolore dell’impossibilità di accogliere”.

Sono, riferisce l’agenzia di stampa Ansa, le ‘prime considerazioni per l’accoglienza dei profughi’ fatte in una nota dal card.Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna.

“L’accoglienza dei profughi cui ci ha invitato Papa Francesco all’Angelus di domenica 6 settembre si può realizzare attraverso un processo che sarà inevitabilmente lento e ponderato”,

scrive Caffarra nel documento reso noto dalla Curia bolognese, che fornisce “prime indicazioni d’intenti e di prospettive per iniziare a dare corpo alla richiesta del Papa, sgomberare il campo da improvvisazioni e cercare di muoverci in modo ordinato”.

L’arcivescovo spiega dunque che “non si tratterà di una accoglienza emergenziale di persone appena arrivate, per le quali sono attivi apposti centri: Cara (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) e Cas (Centro Accoglienza Straordinaria); si tratterà invece di accoglienza di singoli o nuclei familiari già identificati e conosciuti per i quali si potrà predisporre un percorso specifico caso per caso”.

In questo processo l’Arcidiocesi agirà attraverso la Caritas Diocesana, “che si interfaccerà da un lato con Prefettura e i Centri di cui sopra e dall’altro con le Caritas presenti sul territorio (parrocchiali, interparrocchiali o di zona o di vicariato). Alle Caritas presenti sul territorio faranno riferimento le singole parrocchie o comunità religiose o altre realtà che si rendono disponibili all’accoglienza”.

Caffarra spiega che “si vuole offrire ai profughi percorsi di vera accoglienza e integrazione e, al tempo stesso, garantire chi accoglie di non essere lasciato a se stesso nel gestire situazioni che sono delicate e faticose. Ogni realtà che accoglie è necessario che sia quotidianamente visitata, monitorata e sostenuta dalla comunità tutta e da altre figure esterne competenti e autorevoli. Potrebbe essere questo uno spazio affidato anche ad Associazioni, Movimenti e altre Aggregazioni ecclesiali, che possono offrire alla realtà ospitante svariate forme di sostegno organizzato. Sarà gioia e onore per chi accoglie offrire amicizia, vicinanza fraterna, vitto e alloggio gratuitamente, escludendo quindi, nella generalità dei casi, ogni forma di rimborso economico per l’accoglienza prestata.

Tutto ciò che invece comporterà costi e impegni ulteriori (ad esempio assistenza sanitaria, corsi di lingua e di formazione, adempimenti burocratici e tutto quello che, pur necessario, esula dal vitto e dall’alloggio) non sarà a carico della realtà ospitante, ma impegno delle realtà caritative e istituzioni preposte che sovrintendono, gestiscono e tutelano questa accoglienza e il suo buon andamento”.

La Parrocchia, sottolinea il cardinale, “non si identifica con il parroco o la canonica o le strutture parrocchiali. Proprio perché l’accoglienza sia espressione di tutta la comunità cristiana, si chiede che i sacerdoti responsabili di parrocchie e zone pastorali non si facciano carico da soli dell’accoglienza. Se non si riuscisse a garantire una effettiva corresponsabilità con almeno alcuni parrocchiani, neppure il parroco da solo potrebbe far fronte al bisogno; in tal caso si prenderà atto con dolore della impossibilità di accogliere”.

Intanto, “il primo passo che ora concretamente possiamo compiere nelle nostre comunità è indirizzare alle Caritas presenti sul territorio o ad un referente individuato appositamente, le disponibilità di accoglienza che vengono offerte (un appartamento abitabile ma ora non utilizzato, una famiglia disposta ad accogliere in casa propria qualcuno, altri spazi utilizzabili allo scopo). Nel frattempo la Caritas Diocesana attiva i contatti con le istituzioni per capire di cosa c’è bisogno. In una fase successiva si potrà iniziare a ipotizzare abbinamenti tra singole situazioni di bisogno e le realtà più adatte ad accoglierle”.