Camorra, Casalesi: 14 custodie cautelari, tra loro imprenditore coinvolto in appalti G8

Pubblicato il 3 Giugno 2010 - 15:31 OLTRE 6 MESI FA

Quattordici ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal tribunale di Napoli per altrettanti esponenti, capi e gregari, della fazione del clan dei Casalesi guidata da Francesco Bidognetti. Tra loro figura anche un imprenditore coinvolto nell’inchiesta della procura di Firenze sugli appalti per il G8 della Maddalena.

Secondo i pm napoletani il professionista, Carmine Diana, avrebbe fatto da prestanome a Bidognetti dal quale avrebbe ricevuto 500 milioni delle vecchie lire per acquistare un terreno nel Casertano su cui realizzare una speculazione edilizia.

Cinque delle misure sono state notificate in carcere a indagati già detenuti, tra cui lo stesso Bidognetti. Quest’ultimo, al carcere duro da circa dieci anni, secondo le risultanze delle indagini dei carabinieri dei Reparti Operativo ed Investigativo di Caserta, coordinate dalla Dda, avrebbe continuato a guidare il proprio gruppo attraverso l’avvocato Carmine D’Aniello, del foro di S.Maria Capua Vetere e con studio ad Aversa, difensore di alcuni degli indagati.

Il professionista aversano è stato arrestato nelle prime ore di oggi nella propria abitazione, così come altri 8 destinatari dei provvedimenti restrittivi, tre dei quali rintracciati tra Altopascio (Lucca) e Montepulciano (Siena), dove di fatto risiedevano. Le ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal gip Oriente Capozzi su richiesta dei pm Antonello Ardituro, Giovanni Conzo, Raffaello Falcone, Alessandro Milita e Cesare Sirignano. Gli elementi di accusa nei confronti dell’avvocato D’Aniello sono diverse intercettazioni ambientali e telefoniche e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.

Oltre a fare da portavoce di Francesco Bidognetti, secondo l’accusa, l’avvocato teneva i contatti con altri clan camorristici, custodiva il denaro dell’organizzazione e si occupava di investirlo. In una circostanza, per intimidire il boss dei casalesi Luigi Guida che sembrava prossimo a diventare collaboratore di giustizia, D’Aniello si servì di un’ignara giornalista casertana: le rivelò il contenuto di alcuni verbali di interrogatorio resi da Guida affinché la vicenda diventasse pubblica e il boss ritrattasse.

Carmine D’Aniello è inoltre uno dei due legali che firmarono e depositarono, nel 2008, l’istanza con la quale lo stesso Bidognetti e il superlatitante Antonio Iovine chiesero il trasferimento a Roma del processo a loro carico per “legittimo sospetto”. In quella istanza i boss rivolgevano accuse allo scrittore Roberto Saviano, all’ex pm della Dda Raffaele Cantone ed alla giornalista Rosaria Capacchione. Alcuni passaggi dell’istanza furono letti il 13 marzo 2008 nell’aula bunker di Poggioreale dove, davanti alla Corte di Assise di Appello di Napoli, si stava celebrando il processo “Spartacus”.

I boss accusavano il magistrato di aver condizionato le dichiarazioni accusatorie dei pentiti, nonché Saviano e la giornalista di aver sostenuto con i loro articoli (che denunciavano, tra l’altro, il sistema di collusioni con ambienti istituzionali) la strategia della procura. La lettura in aula di quel documento fu considerata una sorta di minaccia pubblica contro Saviano, Cantone e Capacchione, sollevando polemiche e numerose reazioni di solidarietà – tra cui quella del presidente Napolitano – nei confronti degli interessati. Le minacce pubbliche dei boss furono considerate il primo inquietante segnale di una nuova strategia aggressiva dei Casalesi: dopo poche settimane ebbe inizio la lunga scia di sangue voluta dall’ala stragista del clan, che culminò a settembre nell’uccisione di sei immigrati a Castel Volturno

Per intercettare le conversazioni tra D’Aniello e Bidognetti, “cimici” sono state installate nella sala colloqui del carcere dell’Aquila e nelle sale da cui il boss si collegava in videoconferenza con i giudici in occasione delle udienze. Molti dei colloqui tra i due vertono sulla decisione di collaborare con la giustizia di Domenico Bidognetti, cugino di Francesco, al quale il clan, per ritorsione, uccise il padre. Dopo aver revocato il mandato ai suoi legali casertani, Domenico Bidognetti ufficializzò il suo pentimento e nominò una avvocatessa di Montepulciano. Ritenendola responsabile del pentimento, i casalesi cominciarono allora a minacciare pesantemente la donna, che da tre anni vive sotto scorta.