Giorgia Meloni rivendica la norma anti-rave: “Ma non negheremo diritto a esprimere dissenso”

"È giusto perseguire coloro che spesso arrivati da tutta Europa partecipano ai rave illegali nei quali si occupano abusivamente aree private o pubbliche".

di Redazione Blitz
Pubblicato il 2 Novembre 2022 - 18:05 OLTRE 6 MESI FA
rave meloni

Giorgia Meloni rivendica la norma anti-rave: “Ma non negheremo diritto a esprimere dissenso” (foto ANSA)

Sulla contestata norma anti-rave party il premier Giorgia Meloni ne rivendica la paternità, sottolineando di esserne fiera “perché l’Italia, dopo anni di governi che hanno chinato la testa di fronte all’illegalità, non sarà più maglia nera in tema di sicurezza”. 

Rave party, le parole di Giorgia Meloni

“È giusto perseguire coloro che spesso arrivati da tutta Europa partecipano ai rave illegali nei quali si occupano abusivamente aree private o pubbliche, senza rispettare nessuna norma di sicurezza e, per di più, favorendo spaccio e uso di droghe”, spiega il premier. “Le strumentalizzazioni sul diritto a manifestare lasciano il tempo che trovano, ma vorrei rassicurare i cittadini che non negheremo a nessuno di esprimere il dissenso“, scrive ancora su Facebook.

“Ho letto diverse dichiarazioni da parte di esponenti dell’opposizione in merito alle misure prese in Consiglio dei Ministri sui cosiddetti rave party abusivi.  “Abbiamo dimostrato – conclude la Meloni – che se lo Stato c’è, può garantire ai cittadini di vivere in una Nazione più sicura e che anche in passato si sarebbero potuti arginare episodi simili. Infine, vorrei ringraziare le Forze dell’Ordine che hanno gestito in modo ordinato e in piena sicurezza lo sgombero del capannone a Modena”.

Che cosa è successo a Modena

Centinaia di giovani, forse 3mila, per Halloween si sono radunati in un capannone a due passi dal casello sull’A1. La festa è stata interrotta dall’intervento delle forze dell’ordine su ordine del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Dopo la conclusione senza disordini del rave party sono arrivate le denunce per i 14 organizzatori dell’evento. Le autorità hanno sequestrato anche il sistema audio utilizzato nel capannone per oltre 100 pezzi e per un valore stimato di almeno 150mila euro.

Rave, i dubbi di costituzionalisti e giuristi sul decreto del governo

Il decreto del governo sui rave party suscita perplessità non solo nel mondo politico ma anche tra giuristi e costituzionalisti. La stretta voluta dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni (per cui organizzare e partecipare ai rave diventa un reato, il 434-bis, punibile con pene fino a 6 anni di reclusione) fa discutere proprio perché l’articolo 434-bis del codice penale si presta a interpretazioni ampie e fa temere che, in futuro, possa essere applicato anche per sgomberare edifici occupati e campi rom.

Il nodo intercettazioni 

Al centro del dibattito, all’indomani della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle norme “in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali”, c’è soprattutto la possibilità di intercettare non solo gli organizzatori ma anche i partecipanti ai rave. La norma voluta dal governo, infatti, si rivolgerebbe a tutti coloro che invadono “terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica” in “un numero di persone superiore a cinquanta”. Quindi nel mirino rischia, potenzialmente, di finire anche chi occupa un edificio nel corso di una protesta (basta che ci siano più di 50 persone e che il loro raduno venga considerato “pericoloso”).

Possibili confische

Il nuovo 434-bis, dunque, offre a polizia e magistratura la possibilità di adottare misure particolarmente severe nel corso delle indagini: registrazione delle conversazioni e delle chat ma anche la possibilità di confiscare e adottare misure patrimoniali nei confronti di chi è anche solo semplicemente indagato, come avviene per i reati di mafia. 

Reclusione e multe

Nel codice penale è già previsto il reato di invasione di terreni o edifici (articolo 633), che prevede pene fino a 4 anni e multe fino a 2mila euro (se commesso da più di cinque persone), ma con il decreto anti-rave del governo si è voluto fare di più, inserendo pene più dure. La nuova norma su “invasione di terreni o edifici” commessa da più di 50 persone, “allo scopo di organizzare un raduno”, per organizzatori e promotori prevede, infatti, pene da 3 a 6 anni di reclusione e multe da mille a 10mila euro.

I dubbi del costituzionalista sui “giovani che hanno commesso reati” 

Ma al centro del dibattito, oltre alle pene, c’è soprattutto la possibilità delle intercettazioni preventive: non citate nel decreto legge, ma possibili perché la pena prevista è superiore a 5 anni. Le intercettazioni solitamente vengono interpretate dai giuristi come la voglia di spiare tutto e tutti. “C’è una stretta e un controllo sugli individui che si può dedurre dalla possibilità di intercettare tutti, anche i minori. A dispetto delle rassicurazioni di esponenti del governo, i pm potranno mettere sotto controllo i telefoni di moltissime persone, pur giovanissime, senza che abbiano commesso alcun reato”, ha detto a Repubblica Gaetano Azzariti, costituzionalista de La Sapienza. 

I timori per “l’estensione” della norma

Come detto, a sollevare perplessità è la possibilità di una sorta di “estensione” della norma. “È possibile che abbia spazi applicativi più ampi rispetto all’origine che è quella dei rave. Che dunque possa estendersi anche a situazioni diverse”, ha spiegato Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, al Fatto Quotidiano.  C’è poi una questione anche strutturale, di metodo: “Il decreto legge è poco adatto all’introduzione di norme penali, incriminatrici. Da oggi quella norma è pienamente vigente senza che ci sia stata ancora un’approvazione del Parlamento”, ha aggiunto.

Rischio conflitto con l’articolo 17 della Costituzione

La norma metterebbe a rischio la libertà di manifestare, in conflitto, dunque, con l’articolo 17 della Costituzione, che il diritto di manifestare lo rende “sopprimibile” solo “per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”. Si tratterebbe di una sorta di sfida alla Consulta che già nel 1958 aveva bocciato una norma del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza che risaliva al 1926, e che limitava il diritto di manifestare. Proprio per questo l’ex presidente della Consulta Giovanni Maria Flick, ha espresso a Repubblica tutti i suoi dubbi sulla debolezza costituzionale di questo passaggio: A quanto ricordo la Costituzione parla di limitazioni soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica, mentre non fa cenno a pericoli per l’ordine o per la salute pubblica. Andrebbe subito verificata la costituzionalità di questa estensione dei limiti”, ha detto. 

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