Tomaso e Elisabetta liberi: Polizia indiana credette a fatale triangolo amoroso

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Gennaio 2015 - 12:19 OLTRE 6 MESI FA
Tomaso e Elisabetta liberi: Polizia indiana credette a fatale triangolo amoroso

Tomaso e Elisabetta liberi: Polizia indiana credette a fatale triangolo amoroso

ROMA – Tomaso e Elisabetta liberi: Polizia indiana credette a fatale triangolo amoroso. Tomaso e Elisabetta furono mandati all’ergastolo perché un tribunale indiano li accusò di aver ucciso il loro comune amico Francesco Montis, strangolandolo nella stanza d’albergo che condividevano, pestandolo sul capo e sul corpo. E, soprattutto, sospettando (senza prove certe per ammissione della corte) un triangolo amoroso finito male e una brutta storia di droga.

Ma ferite ed ematomi sul collo erano precedenti o procurate nel trasporto dai barellieri (sosteneva e ha sempre sostenuto la difesa) mentre la ragione della morte è sì l’asfissia, ma da attribuire ai noti problemi di salute di Francesco.

E l’uso di droghe non è escluso possa aver contribuito al decesso. La cremazione del suo corpo, per sua volontà, ha impedito infine ulteriori esami autoptici.  Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni sono tornati liberi dopo che un tribunale indiano aveva decretato il fine pena mai: hanno trascorso gli ultimi 5 anni da incubo in celle-stanzoni del District Jail di Varanasi con altri 140 detenuti, un metro per due a disposizione, prima che il loro ergastolo venisse cancellato.

La ricostruzione della polizia indiana sembrò seguire il canovaccio di una love story complicata e inesorabilmente destinata al delitto finale. L’amicizia fra i tre protagonisti era nata a Londra, poi tutti e tre avevano deciso di partire per l’Oriente. Proprio nella città di Varanasi, la città più sacra del Subcontinente, l’armonia fra i tre giovani italiani, espatriati per lavoro nel Regno Unito e turisti in India dal 28 dicembre, secondo gli inquirenti s’incrina in modo fatale.

Francesco, che per primo era riuscito a conquistare Elisabetta, cade in «forte depressione» non appena lei inizia ad avere una relazione con Tomaso. L’amicizia, quindi, si trasforma in un triangolo amoroso: è questa la tesi della polizia indiana (che metta agli atti la “relazione clandestina”) che sta indagando sulla morte di Francesco.

I due imputati si sono sempre dichiarati innocenti, negando qualsiasi relazione amorosa (relazione smentita anche dagli amici dei tre ragazzi) e sostengono che la mattina del decesso si trovavano a vedere l’alba sul Gange. In effetti, il direttore dell’hotel, sulla base delle telecamere a circuito chiuso, ha sempre detto di non aver visto nessuno rientrare in camera nell’ora in cui sarebbe avvenuta la morte, ma quei filmati non sono mai stati utilizzati per il processo. Inoltre, sostengono i genitori degli imputati, l’autopsia sul cadavere è stata fatta da un semplice oculista e non da un medico esperto. (Jacopo Storni, Corriere della Sera)

I due compagni di viaggio, Elisabetta Boncompagni, all’epoca 36 anni, torinese e Tomaso Bruno, 27 anni, di Albenga si ritrovano nel carcere di Varanasi con l’accusa di aver ucciso Francesco a sole 48 ore dai fatti contestati. Il vice-commissario della città, Sageer Ahmad, affermò che l’autopsia «non lascia dubbi»: è stato omicidio. In più, parlò dell’esistenza di «prove circostanziali» e del fatto che i tre facevano uso di droghe e dormivano nella stessa camera d’albergo.

Proprio da quella stanza, la mattina del 4 febbraio, Elisabetta e Tomaso telefonano alla hall chiedendo di chiamare un’ambulanza: il loro amico sta male. Francesco viene portato via in uno stato di semicoscienza, ma quando arriva in ospedale non c’è più niente da fare. I due chiamano l’ambasciata italiana di Nuova Delhi per avvertire della morte dell’amico. Ma 48 ore dopo la polizia li arresta: l’autopsia riferiva di morte per asfissia da strangolamento e sei ferite da oggetto contundente sulla testa e sul collo.