Pechino: “Liu Xiaobao libero se confessa”. Ma il Nobel non si piega

Pubblicato il 3 Dicembre 2010 - 11:22 OLTRE 6 MESI FA

Liu Xiaobo

Sarebbe potuto tornare libero, sarebbe bastata una “confessione”. Ma il premio Nobel cinese Liu Xiaobo ha detto no al compromesso. E alla libertà.

A rivelare l’offerta “indecente” di Pechino, riportata da Repubblica, è il legale del dissidente e leader di Charta 08 condannato a undici anni di prigione per “incitamento alla sovversione”. Ma “Liu Xiaobo, ha fatto sapere il suo avvocato Shang Baojun, accetterà solo il rilascio senza condizioni”.
A una settimana dalla cerimonia di premiazione, le autorità cinese avevano tentato di minimizzare l’indignazione internazionale avviando una trattativa riservata con Liu Xiaobo, protagonista delle proteste del 1989 in piazza Tienanmen. Un’offerta che negli ultimi anni ha aperto la via dell’esilio a centinaia di attivisti per la democrazia: un passaporto di sola uscita con il visto per gli Stati Uniti, o per un Paese dell’Unione europea. “Liu Xiaobo ha rifiutato – ha detto il suo legale – anche per non abbandonare i suoi genitori durante la vecchiaia”.

Il rifiuto di Liu Xiaobo, ai domiciliari insieme alla moglie dopo l’assegnazione del premio, ha messo a  rischio anche le relazioni tra Pechino e Oslo.   Il 10 dicembre sul palco di Oslo. Per la prima volta in più di un secolo, il 10 dicembre alla cerimonia di premiazione nella capitale norvegese ci sarà una sedia vuota al posto del premiato. E quella sedia vuota, nelle intenzioni del comitato del Nobel, “dovrà richiamare l’attenzione del mondo sulla situazione dei diritti umani nella seconda potenza economica del pianeta”.

A ritirare il premio sarà un latro dissidente cinese,  Yang Jianli. Amico di Xiaobo, compagno di proteste nel 1989, esiliato negli Usa e docente a Harvard, è stato incaricato via Twitter dallo stesso Liu Xiaobo.

La moglie del Nobel aveva chiesto a 143 intellettuali cinesi di raggiungere Oslo, ma il governo di Pechino ha per tempo provveduto ad arrestarne la gran parte.

Sono 36 le nazioni, tra cui l’Italia, che sfideranno l’ira cinese inviando il proprio ambasciatore alla cerimonia di Oslo. Tra loro, anche la speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi. Un mese dopo, a gennaio, sarà Hu Jintao ad andare a Washington. E lì si vedranno i risultati.

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