Ziliani contro Caressa: “Mai scritto che Cabrini e Rossi s’inchiappettavano”

Pubblicato il 24 Maggio 2012 - 16:46 OLTRE 6 MESI FA

Fabio Caressa (foto Lapresse)

ROMA – Il giornalista Paolo Ziliani contro il suo collega Fabio Caressa: il primo, famosa “voce” (con le sue pagelle) del programma calcistico di Mediaset “Controcampo”, ha scritto una lettera al vetriolo contro il commentatore di Sky. La lettera è stata pubblicata sul sito Dagospia.

Fondamentalmente Ziliani accusa Caressa di averlo tirato in ballo per una storia in cui dice di non c’entrare nulla. Caressa ha infatti scritto un libro nel quale a un certo punto dice che Ziliani avrebbe tirato fuori la storia che Paolo Rossi e Antonio Cabrini (due degli italiani “mundial” del 1982), avevano rapporti omosessuali. Ziliani risponde alle illazioni dicendo che lui nel 1982 non era in Spagna (dove si svolgeva il Mondiale) e che sul Giorno (dove Ziliani lavorava) non era apparso nessun articolo a suo nome sull’argomento.

Ecco l’incipit della lettera di Ziliani: Caro Dagospia, questa è la vita: essere accusati di avere scritto, sulle pagine de “Il Giorno”, che Paolo Rossi e Antonio Cabrini, ai mondiali di Spagna dell’82, s’inchiappettavano; che Rossi era il “marito” e Cabrini la “moglie”; che tutta la nazionale, capeggiata da Zoff e Causio, tentò di vendicarsi passando alle vie di fatto nei miei confronti, compattandosi fino ad arrivare a vincere il Mundial in reazione all’ignominia patita.

Ziliani riporta poi alcuni estratti “accusatori” del libro di Caressa:

“… la squadra faceva schifo, era umiliante vederla giocare un calcio così antico e senza idee. I toni si erano alzati. Finchè non successe il patatrac. I due inviati del “Giorno” Claudio Pea e Paolo Ziliani, due giovani giornalisti in procinto di diventare firme illustri, se ne uscirono con una battuta infelice. Dissero che in quell’Italia disastrosa nessuno si preoccupava di migliorare, che erano tutti tranquilli. E che Paolo Rossi e Antonio Cabrini vivevano in camera assieme come marito e moglie. Il marito era Rossi. Apriti cielo.

(…) Ma quello che fece infuriare più di ogni cosa i giocatori fu senz’altro quell’insinuazione sulla presunta omosessualità. Adesso siamo abituati a vedere chiunque parlare della propria inclinazione sessuale senza problemi, per fortuna. Ma allora non era così. Dire di un calciatore che era gay significava offenderlo terribilmente.

I giocatori chiesero a Bearzot di potersi riunire. Parlarono i leader. Franco Causio era uno che faceva sempre sentire la sua voce. Era un uomo del Sud con dei bei baffoni. Figuriamoci, per lui l’accusa di giocare in una nazionale composta di “froci” andava lavata con il sangue. E pure per gli altri. Poi fu la volta di Dino Zoff (…). Contro i giornalisti uscirono parole forti. Qualcuno voleva affrontarli faccia a faccia, anche a muso duro…”.

Quindi, la lettera si chiude con parole dure nei confronti di Caressa: Così parlò Fabio Caressa. Anzi, scrisse. Il fatto che avesse 15 anni e che fosse impegnato a impiastricciarsi le dita attaccando le figurine sull’Album Panini, quando l’Italia vinse i mondiali in Spagna dell’82, non lo esime – nel suo libro – dal recitare la parte del Grande Vecchio che tutto sa, dei retroscena del calcio mondiale.

E poi la promessa di causa nei confronti del collega: Mettiamola così: poiché questa, per me e per mio figlio, una bella storia non è, né di calcio né di vita, la sola cosa che mi resta da fare è portare Lorenzo, mio figlio, con me in tribunale: perché veda come un’ingiustizia e un affronto, a cui ormai non si può più porre rimedio, possano almeno essere puniti. La favola del calcio raccontata a mio figlio, purtroppo, è passata per Fabio Caressa.