Condono edilizio per tutti, anche retroattivo: il Pdl ci riprova

Pubblicato il 1 Luglio 2010 - 14:37 OLTRE 6 MESI FA

casaCome si risolve il problema dell’abusivismo edilizio? Secondo il centrodestra regolarizzando gli abusi: tre deputati del Pdl hanno infatti presentato alla Camera una proposta di legge che porterebbe ad un condono “allargato” perché retroattivo. Infatti se il testo, così com’è redatto oggi, diventasse legge, richiamerebbe “in vita” migliaia di pratiche che giacciono nei cassetti dei Comuni di tutta Italia: il condono riguarderebbe infatti tutte le richieste di regolarizzazione pervenute tra il 1983 e il 2003. La vicenda è spiegata in un articolo di Gian Antonio Stella pubblicato sul Corriere della Sera.

Il Pdl, dunque, ci “riprova”. Solo 10 giorni fa era stato presentato un simile emendamento all’interno della manovra, emendamento che era stato “sconfessato” dagli stessi uomini della maggioranza, primo fra tutti il firmatario del provvedimento Paolo Tancredi, che si era giustificato dicendo: “L’avevo firmato ma non l’avevo letto, me l’avevano messo sotto il naso”.

Dieci giorni dopo, invece, i tre firmatari del nuovo ddl sembrano essere ben coscienti di quello che chiedono. Il documento all’esame della Commissione Ambiente di Montecitorio è intitolato “Disposizioni per accelerare la definizione delle pratiche di condono edilizio al fine di contribuire alla ripresa economica” ed è stato firmato degli onorevoli Maria Elena Stasi, Luigi Cesaro e Giovanna Petrenga. Stando a quanto recita il ddl, gli enti locali avrebbero sei mesi di tempo per “smaltire” gli arretrati delle sanatorie del 1985, del 1994 e del 2003. Secondo i tre “berluscones” la finalità del provvedimento è quella di rastrellare “ingenti introiti per la finanza degli enti locali e per lo Stato, conseguenti alla regolarizzazione di tali immobili sotto il profilo fiscale e tributario”.

La Corte dei Conti si è però mostrata scettica circa questa possibilità: i giudici contabili hanno infatti spiegato che a causa del condono gli enti dovrebbero sostenere costi superiori ai guadagni che ne ricaverebbero. Un rapporto di Legambiente rafforza questa teoria: dal 1995, grazie ai condoni, i Comuni hanno incassato poco più di 4 miliardi e 400 milioni di euro. Ma per portare i servizi negli edifici “condonati” di euro ne hanno tirati fuori più di 9 miliardi (esattamente 9.664.224.000): il disavanzo è dunque di oltre 5 miliardi, decisamente troppi per far parlare di “contributo alla ripresa economica”.

Il problema, per i Comuni, è che la scadenza dei 6 mesi sarà una vera e propria tagliola sulle loro teste: come recita l’articolo 4 del documento, gli enti locali saranno obbligati a “giustificarsi” (con tanto di motivazione scritta) nel caso in cui non prendessero provvedimenti verso chi ha fatto richiesta del condono. La mancata risposta verrà fatta pagare direttamente a impiegati e dirigenti competenti, tramite prelievi “forzati” dalle loro buste paga. La cosa più “comica” (ma qui ci sarebbero da versare lacrime amare) è che, se non risponderà nei termini prestabiliti, il Comune dovrà rimborsare anche chi al condono non ha diritto.

Insomma, una vera “manna” per gli “abusivi del mattone”. Ermete Realacci del Pd ha infatti lanciato il grido d’allarme: “La maggioranza continua a mandare pericolosi segnali di tana libera tutti al Paese, che alimentano gli appetiti illegali e rischiano di regalare al nostro fragile territorio altre colate di cemento illegale”.