Riforma lavoro: Catricalà gela Fornero, Camusso si consola… a New York

Pubblicato il 5 Marzo 2012 - 11:05 OLTRE 6 MESI FA

Mario Monti, Elsa Fornero, Antonio Catricalà (foto LaPresse)

ROMA – Sulla riforma degli ammortizzatori sociali l’unica novità è una bella pausa di riflessione. La coppia Monti-Fornero ha preso atto che serve guadagnare tempo: di soldi per finanziare la riforma non ce ne sono, la caccia a tesoretti immaginari, il ricorso ad acrobatici trasferimenti di risorse, l’imposizione di altre tasse, consigliano lo stop. E pazienza se lo slittamento dei tempi offra alle parti sociali, soprattutto ai sindacati, l’illusione di una mezza vittoria. Non si fanno i conti senza l’oste: l’estensione delle tutele a 12 milioni di lavoratori esclusi e e il contestuale ridimensionamento della cassa integrazione (specie quella straordinaria) necessitano di ingenti risorse, le quali, semplicemente non sono disponibili.

Il viceministro dell’Economia Grilli e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Catricalà lo hanno ricordato chiaramente al ministro Fornero. Niente voli pindarici. Senza almeno un paio di miliardi subito nemmeno si può partire; con la crisi del lavoro e la chiusura delle fabbriche non si può procedere a un taglio, anche differito, del contributo pubblico alla cassa integrazione. Lo stallo è evidente, perlomeno si farà chiarezza, qualche settimana lascerà evaporare le proposte meno ricevibili. Susanna Camusso, in procinto di partire per New York, dove è attesa per i lavori della Commissione sullo status delle donne, ha rilanciato, così, come per vedere l’effetto che fa, l’idea di fare un’altra patrimoniale.

Una “provocazione”, cui aveva fatto ricorso anche Berlusconi come diversivo in pieno Ruby-gate, buona per scaldare gli animi alla manifestazione degli edili, irricevibile anche dai più amici del Pd. Anche Amato, Pellegrino Capaldo, Veltroni non mancarono di farvi accenno: se non solo Luca Ricolfi, ma perfino un Vincenzo Visco fecero a gara per metterla alla berlina, figuriamoci che chance potrebbe avere in sede di trattativa. E quali prospettive aprirebbe per le speranze del centrosinistra alle prossime elezioni.

Altra “provocazione” stavolta in coabitazione tra il più operaista nel Pd, Stefano Fassina  e il leader della Cisl Bonanni: i soldi prendiamoli dal gettito risparmiato con la riforma delle pensioni. Ma quelle risorse non servono forse a ridurre il deficit, a raggiungere il pareggio di bilancio? E’ cambiato qualcosa, forse che l’Italia è tornata a correre e il Pil a crescere? No, e i paletti europei, i severi vincoli di bilancio restano tali e quali: non ha senso illudere i propri rappresentati con ipotesi irrealistiche. Anche da Confindustria si tira un sospiro di sollievo, almeno temporaneo: con la riforma Fornero, a regime dal 2017 e a costo zero per lo Stato, anche le imprese avrebbero dovuto contribuire a finanziarla, un aumento del costo del lavoro giudicato intollerabile.

Il piano ambizioso del ministro Fornero non può a fare a meno di risorse, di tanti soldi. L’Italia spende attualmente circa 13 mila euro a lavoratore, una trentina di miliardi l’anno. Abbastanza in linea con l’Europa a 15, assolutamente insufficiente rispetto agli standard dei paesi del nord cui si ispira il modello di flexsecurity immaginato da Fornero. Lì la spesa per disoccupato è tre o quattro volte più alta. “Per raggiungere la Danimarca – osserva Luigi Campiglio, ordinario di politica economica al l’Università Cattolica – bisognerebbe investire un punto e mezzo di Pil in più sulle politiche del lavoro, oltre 20 miliardi”. Secondo i calcoli della Uil la riforma costerebbe 2,2 miliardi allo Stato e 2,3 al sistema, alle imprese e ai lavoratori. La cassa integrazione straordinaria, quella legata soprattutto a imprese ed aziende decotte, in perenne ristrutturazione, quella è nel mirino dei “riformisti”: un taglio a costi superflui e meramente assistenziali.