Carlo Lissi, il pm chiede: “Non bastava il divorzio?”. “Ma ti restano i figli”

di Elisa D'Alto
Pubblicato il 17 Giugno 2014 - 10:20 OLTRE 6 MESI FA
Carlo Lissi e Maria Cristina Omes

Carlo Lissi e Maria Cristina Omes

MILANO – E’ il magistrato a fare a Carlo Lissi la domanda che tutti si sono fatti: “Ma non bastava il divorzio?”. Non bastava separarsi da quella donna che non amava più, dalla madre dei suoi due figli? Non bastava passare per gli avvocati, lasciare quella casa, finirla? Invece che sgozzarla una sera d’estate, invece che ammazzare i bambini, uno dopo l’altro mentre dormivano?

E Carlo Lissi la risposta a questa domanda ce l’ha e bisogna ascoltarla per capire cosa gli sia balenato in testa sabato notte: “No. Col divorzio i figli restano”. I figli restano, e invece lui non li voleva, lascia intendere. Un fardello anche loro, insopportabile: col divorzio i figli sopravvivono, li devi accudire, nutrire, vestire, accompagnare a scuola, devi farli giocare. Devi amarli, in una parola, e lui questo non lo voleva.

Se questa è follia, se questo è un “raptus” omicida, è una follia molto lucida. Carlo Lissi, lo dicono i giornali, ha dato una piena confessione. Non ha pianto, non si è scomposto. Si è messo le mani nei capelli, ha chiesto il massimo della pena, e poi è andato fino in fondo con i dettagli.

Sabato sera Carlo Lissi e Maria Cristina Omes fanno l’amore. I bambini sono a letto: Giulia, quasi 5 anni, nella sua cameretta, Gabriele, 20 mesi, nel lettone di mamma e papà. La coppia è sul divano. Lui si alza, sono circa le 23, ha indosso solo gli slip. Va in bagno e poi in cucina a prendere un coltello con una lama da 30 centimetri, quello che farà ritrovare in un tombino. Maria Cristina si sta rivestendo, è rilassata, forse assonnata, davanti alla tv. Lui arriva di spalle e le dà un colpo alla gola, improvvisamente.

“Sono tornato in salotto e mia moglie era seduta sul divano che guardava la televisione. Da dietro l’ho colpita, credo alla gola – dice al pm di Pavia, Giovanni Benelli -. Lei si è subito alzata e ha cercato di scappare. L’ho raggiunta e l’ho colpita nuovamente all’altezza del collo. Lei a quel punto a cercato di prendermi il coltello afferrandomi la mano destra. Inizialmente ha detto “no” e poi ha solo continuato a gridarmi “perché… perché?”.

“Dopo che si è accasciata a terra sono salito al piano superiore, sono andato nella camera di Giulia, la porta era aperta ma lei dormiva non aveva sentito nulla”. La piccola viene colpita alla gola: “Non ha detto nulla. Poi sono entrato in camera da letto dove c’era mio figlio Gabriele. Anche lui dormiva. Era a pancia in su e anche a lui ho dato un’unica coltellata alla gola: l’ho fatto poiché non avevo il coraggio di chiedere a mia moglie di separarci, cosa che io invece volevo fare”. “Ma non le bastava il divorzio?”, chiede il magistrato. “No. Con il divorzio i figli restano”.

A quel punto Carlo è solo in casa, ha ucciso tutti. Butta a terra il contenuto di qualche cassetto, apre la cassaforte. Simula una rapina. Poi si fa una doccia, indossa abiti puliti ed esce: da mezzanotte alle 2 circa va in un pub con gli amici a vedere la partita della Nazionale di calcio.

Quando torna racconta ai carabinieri che è entrato dalla sala hobby seminterrata “per non svegliare la famiglia”. Poi salendo le scale si accorge della mattanza. Questo è il suo racconto ai carabinieri, quello di un uomo che trova la famiglia sterminata forse per mano di rapinatori crudeli. Ma la versione non regge: domenica viene fermato e dopo 4 ore di interrogatorio confessa tutto, anche l’indicibile: “La famiglia era una gabbia. Non sopportavo più questa vita”.

(Foto Facebook e Ansa).