Giuliano Delnevo, il padre: “Un eroe”. Anche uccidere per Allah è un valore?

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 19 Giugno 2013 - 14:46 OLTRE 6 MESI FA
Giuliano Ibrahim Delnevo

Giuliano Ibrahim Delnevo

GENOVA – “E’ morto da eroe e sono orgoglioso di lui” dice, in un’intervista a Repubblica, Carlo Delnevo, il padre di quel Giuliano Ibrahim, genovese, morto in Siria combattendo al fianco degli insorti nel “battaglione degli stranieri”, quello più vicino all’Islam guerriero e terrorista. Comprensibile visione paterna ma, in qualche modo, sullo stesso quotidiano gli fa eco Gabriele Romagnoli, che scrive, Giuliano è morto inseguendo un ideale, e lasciando intendere che questo nobilita in qualche modo la sua esperienza. Inseguiva un ideale Giuliano, certo, e cercava, come dice Romagnoli, un “senso per la sua vita”. Ma è questo sufficiente a trasformare una persona, un caduto in guerra, un combattente e killer di Allah secondo loro stessa scelta e definizione in un eroe?

Per un padre sì e ciò che detta il cuore di un padre all’indomani della morte del figlio non si discute, non può essere sottoposto a giudizio, viaggia in una sfera altra da cui si deve restar distanti e approssimarsi solo con umana pietas.

“Mio figlio è morto da eroe per salvare un amico. Mi ha telefonato il suo comandante, mi ha raccontato che Giuliano aveva un amico, un somalo, a cui era molto legato. Insieme avevano chiesto di andare sulla linea del fuoco. Quando mio figlio ha visto che il suo amico era steso a terra, ferito, è uscito dal rifugio per trascinarlo al riparo mentre continuavano a sparare. Così l’hanno colpito. Così è morto” racconta il padre di Giuliano.

“Il comandante – continua Carlo Delnevo – mi ha detto che avrebbe fatto l’impossibile per riconsegnarmi il corpo, ma non ho più avuto notizie. Credo che non riuscirò a riavere mio figlio. Ma Giuliano è sempre con me, perché non c’è niente di più nobile che morire per salvare un amico”.

Sacrificare la propria vita per gli altri, amici o no che siano, è senza dubbio un gesto nobile. Ma prima che per soccorrere l’amico somalo Giuliano è morto perché è andato in Siria a combattere, partito “perché per lui difendere l’aggressione contro le donne e i bambini, era una missione”, ma anche perché, come lo stesso papà riconosce, “in Italia ha avuto poche chance, non aveva voglia di studiare, fallì in un concorso per carpentiere. Forse con l’opportunità giusta non si sarebbe trovato su una strada senza ritorno”.

E qui le ragioni di un padre e l’analisi di Romagnoli si incontrano: Giuliano si era convertito non solo alla religione musulmana ma anche e soprattutto all’Islam guerriero ed era partito perché il suo mondo non gli offriva nulla, non gli offriva un ideale per cui battersi e non gli offriva nessuna tensione per lo spirito. Era diventato uno di quelli che, come disse un generale russo a proposito dei guerriglieri ceceni, “come puoi combatterli se quando guardano la bocca del tuo fucile loro vedono il paradiso?”. Anche questo è “dare un senso alla vita”? Ogni scelta umana ha una sua nobiltà basta che sia sorretta da un “ideale”, indipendentemente da quale sia l’ideale? Tutti gli ideali sono a loro modo “nobili” in un relativismo di valori secondo il quale sfuggire ad un mondo povero e “superficiale” e scegliere invece la strada della guerra santa è comunque una scelta  da osservare anch’essa con un qualche rispetto?

E’ vero che è la storia a decidere quali morti saranno eroi e quali dei semplici pazzi, ed è altrettanto vero che la storia la scrivono i vincitori. Ma anche senza attendere il giudizio del tempo possiamo serenamente affermare che non tutti quelli che muoiono per un ideale sono degli eroi, anzi. Per un ideale sono morti gli attentatori delle Torri Gemelle e per un ideale sono morti molti nazisti. E non basta certo questo a farne degli eroi. Anzi.

Combattere per un ideale è nobile, e in un epoca in cui di ideali se ne è quasi persa la memoria, è persino un lusso. L’unico ideale o quasi che rimane al nostro mondo occidentale è infatti il denaro, certo poco nobile. La necessità però di discernere rimane. Esistono, anche nel campo degli ideali, i buoni e i cattivi. La libertà è senza dubbio un ideale “buono”, proteggere donne e bambini è altrettanto buono ma, senza nulla voler togliere a Giuliano, morto senza dubbio per salvare un amico, per comprendere la sua morte bisogna comprendere le ragioni della sua conversione e della sua partenza. Bisogna raccontare che si era sposato con una ragazza marocchina, conosciuta su internet, bisogna vedere i video che postava su youtube nel canale “Liguristan”.

A molti piacerebbe poter combattere e sacrificare la propria vita sull’altare di qualcosa, così è stato in tutte le epoche e così probabilmente sempre sarà. Come ricorda lo stesso Romagnoli, scriveva Nietzsche che “in tempo di pace l’uomo guerriero si accanisce contro se stesso”. Ha quindi l’uomo una pulsione, una voglia di sentirsi attore e parte di qualcosa di più alto e grande.

Tornando alla storia del ragazzo genovese si può allora dire che Giuliano, morto per salvare un amico, è morto da eroe. Ma Ibrahim, convertitosi un po’ per noia, un po’ per caso e molto per mancanza di alternative, non è morto da eroe ma da folle. Anzi, folle è parola che non basta e non rende. E’ morto per dei cattivi valori, cattivi verso l’uomo e l’umanità: lo Stato teocratico, la religione unica e obbligatoria, la guerra santa agli “infedeli”. Sono cattivi valori, valori che straziano donne, uomini e l’umanità tutta. Spiace ma chi scrive di “polluzioni per l’eroismo” che restano “senza occasioni” e di “una fede guerriera o guerrafondaia, dipende dai punti di vista” e di Giuliano-Ibrahim come di “uno che soltanto aveva trovato una ragione per cui vale la pena avere un fucile e fare la guerra”, chi così scrive non tiene buona lezione civile, tiene lezione di amnesia e abdicazione. Amnesia della scala dei valori e abdicazione dalla responsabilità che quella scala impone.

E, sfruttando un testo tanto semplice quanto efficace, più che un mondo ricco di ideali per cui combattere e, al limite, morire, sarebbe bello avere un mondo dove non ci sia nulla per cui uccidere o morire. O almeno questo scriveva John Lennon. E se bisogna perdersi dietro un sogno, dove sta scritto che quello lirico della pace dia meno senso alla vita di quello epico della guerra? E poi che guerra, quella dei killer di Allah contro il resto dell’umanità.