Matteo Renzi: nuovo che avanza o vecchio in quiescenza? Glamour, demagogia…

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 1 Gennaio 2014 - 15:39 OLTRE 6 MESI FA
Matteo Renzi: nuovo che avanza o vecchio in quiescenza? Glamour, demagogia...

Marianna Madia. Renzi l’ha messa nella segreteria del Pd a occuparsi di lavoro e lei ha confuso il ministro dello Sviluppo per quello del Lavoro

Che fanno le opposizioni? Puntano allo sfascio (condivisibile la diagnosi di Emanuele Macaluso su Repubblica).

Che fa la maggioranza? Brancola nel buio, si arrampica sugli specchi, vorrebbe far cadere il governo ma non può.

E l’esecutivo? Resiste fidando sulla debolezza di entrambi gli schieramenti che, paradossalmente, vorrebbero toglierselo di torno, ma per ragioni diverse non possono e sono costretti a “subirlo”.

Enrico Letta sa che non resterà a lungo, per quanti sforzi faccia, a Palazzo Chigi e vive alla giornata guardandosi più dagli “amici” che dai nemici dichiarati. Il presidente della Repubblica “vigila” su questo scenario kafkiano invocando, come ha fatto per l’ennesima volta nel discorso di fine anno, le necessarie riforme da tutti reclamate, ma da nessuno veramente volute vuoi per indolenza, vuoi per incapacità o per manifesta incompatibilità tra proposte (proposte?) dei diversi soggetti.

Intanto la Repubblica italiana sta progressivamente diventando – ad insaputa dei cittadini, si potrebbe dire – presidenziale, il che non è un male in via di principio, ma se la Costituzione materiale si modifica impropriamente e quella formale rimane così com’è, è fatale che prima o poi si verifichi una sorta di cortocircuito del sistema con tutte le conseguenze facilmente immaginabili. Il principio di legittimità delle istituzioni, insomma, non può che essere univoco e discendere da un coerente disegno nel quale tutti i tasselli combacino. Il contrario, insomma, di quanto sta accadendo sotto i nostri occhi e del quale, ci sembra, le forze politiche pur avvedendosene non si curano con l’operosità che sarebbe lecito attendersi.

Il “nuovo che avanza”, insomma, assomiglia sempre di più al vecchio in quiescenza. E ne ripete gli stilemi consunti come se il tempo si fosse fermato. Tanto per dire:  Matteo Renzi, animato da sacro furore, prometteva sfracelli, ma a giorni alterni minaccia il Governo e poi dichiara di sostenerlo. Non facevano così anche i democristiani di una volta (a dire la verità con maggiore finezza) quando i giochi tra le correnti imponevano il cambio della guardia a Palazzo Chigi? Negli ultimi giorni sembrava aver suggerito a Enrico Letta un “rimpasto”, salvo smentire il proposito, a suo giudizio “inventato” dai giornali. Una tecnica ancien règime abusata nella Prima repubblica. E che questa sia l’intenzione del nuovo segretario del Pd lo hanno capito anche le pietre. Se la l’intimazione dovesse essere respinta, Renzi avrebbe il pretesto per alzare il tiro e chiedere le dimissioni del governo con le inevitabili elezioni (legge elettorale permettendo) ed il danno collaterale del “disimpegno” di Giorgio Napolitano. Un terremoto politico, insomma.

Tutto questo, assecondato ovviamente dall’irresponsabilità delle opposizioni , a cominciare da Forza Italia che ha buon gioco comunque nell’accusare Letta ed Alfano di immobilismo, oltre che dei pasticci di cui hanno dato prova nel varare i provvedimenti finanziari nelle scorse settimane, rischia di avere una sola conclusione: Renzi premier prima che si esaurisca la sua spinta propulsiva. Ed intende, a tal fine, mettere i suoi uomini nei posti-chiave per attuare quelle politiche che finora, con tutta la buona volontà, nessuno ha capito in cosa consistano.

Il “segretario fiorentino” (da non confondere con Machiavelli), insomma, sembra avere più a cuore le poltrone da spartire, i nuovi equilibri da trovare che le opere a cui dedicare i suoi giorni come faceva intendere nel corso della sua cavalcata verso la presa del Palazzo d’Inverno del Pd. Non diversamente da Scelta civica che, per quanto ridotta ad una insignificante appendice della maggioranza, reclama anch’essa ministri e sottosegretari sostenendo che il quadro è cambiato. Ovviamente i montiani ritengono di non essere secondi a nessuno in quanto “nuovisti” anche se un loro ex-esponente di punta, Lorenzo Dellai, adesso leader degli scissionisti del gruppo “Per l’Italia”, giorni fa si è chiesto, con buona dose di realismo, se “con tutto quello che accade nel Paese, il tema all’ordine del giorno debba essere un ritorno al manuale Cencelli”, rispondendo così al capogruppo alla Camera di Scelta civica, Andrea Romano, che sul Corriere della sera attaccava i fuoriusciti e pretendeva maggior peso per il suo partitino.

Siamo al cospetto del politicismo più vieto, inguardabile ed indigesto. Il dibattito, se così si possono definire le schermaglie giornalistiche tra i diversi contendenti, raramente è stato tanto deprimente. Eppure alla vigilia di importanti appuntamenti, primo tra tutti la legge elettorale che buon senso vorrebbe venisse varata prima dell’uscita delle motivazioni della sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il Porcellum, ci si attenderebbe un diverso atteggiamento rispetto alle cose da fare. Per esempio, buttato a mare il “salva Roma” per manifesta indecenza, sarebbe stato gradito che la stessa fine avesse fatto l’appena approvato “Milleproroghe” che ne ripete la filosofia. Invece si è combattuta una battaglia furibonda sugli emendamenti e per quanto il governo abbia fatto la voce grossa, spalleggiato dal suo lord protettore, vale a dire il capo dello Stato, i parlamentari, pur limitando le pretese, non hanno accettato di restare a mani vuote.

Lo stesso impianto del provvedimento è assurdo. Mettere assieme materie assolutamente incompatibili è quanto di più logoro la vecchia politica abbia lasciato in eredità. Neppure su questo Renzi ha ritenuto di intervenire limitandosi a dichiarazioni demagogiche di circostanza. Nessuno, dopotutto, si salva dalla ragnatela delle clientele, neppure coloro che alla Leopolda facevano la voce grossa contro l’ineleganza di certi comportamenti. È sicuramente più glamour mettere in squadra un po’ di giovanotti e giovanotte che sbagliano indirizzi dei ministeri e non disdegnano passaggi su aerei di Stato e alla prova dei fatti dimostrano di non essere questo fior di economisti celebrati da giornali compiacenti, piuttosto che impegnarsi in piccole riforme a cominciare dalla cancellazione di un provvedimento assurdo sotto tutti i punti di vista come il Milleproroghe.

Restiamo, comunque in attesa. E le parole ascoltate dal capo dello Stato non inducono all’ottimismo. Si dice, però, che l’anno nuovo sarà foriero di sorprese. Se si apre come si è chiuso, dedichiamoci alla lettura delle pagine sportive aspettando il Mondiale brasiliano di giugno. Volete mettere lo spettacolo rispetto alle corride di Montecitorio e di Palazzo Madama?