Berlusconi e Fini, pace “di carta”? Ma la frattura è insanabile

di Giuseppe Giulietti
Pubblicato il 17 Aprile 2010 - 20:35| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Come finirà la lite tra Berlusconi e Fini? Si rimetteranno insieme? Faranno pace?

No, non faranno pace e anche se dovessero rimettere insieme i cocci, sarà una ricostruzione precaria,una di quelle riappacificazioni finte, destinata a scoppiare alla prima puntura di spillo.

La rottura tra i due è profonda, antropologica e politica, non rimediabile, perché si è consumata ancor prima sul piano umano che su quello politico.

Fini sa perfettamente che gli stessi agguati mediatici contro la sua persona e i suoi familiari affondano le radici nelle medesima centrale che ha organizzato il pestaggio mediatico contro il presidente Napolitano, contro il direttore dell’Avvenire, contro quei giornalisti che ancora si rifiutano di prestare il giuramento di fedeltà al sultano e ai suoi califfi.

Fini sa perfettamente che, comunque vada, non sarà mai più in corsa per la successione, che la sua corsa all’ombra di Berlusconi si è ormai conclusa e che alcuni dei suoi fedelissimi sono da tempo diventati i più fedeli scudieri del signore di Arcore.

Come se non bastasse Fini, da sempre presidenzialista, sa perfettamente che una repubblica presidenziale a telecomando unificato e a magistarura asservita, non avrebbe nulla a che spartire con il modello americano, né con quello francese.

In quei paesi i titolari di un conflitto di interessi che volessero candidarsi alla presidenza sarebbero accompagnati al più vicino centro di salute mentale. Qui, invece, si vorrebbe fare di questa anomalia il punto di forza, l’arma finale per piegare ogni opposizione e suscitare il plebiscito.

Tra le vittime di questo pestaggio il presidente Fini e i suoi sarebbero certamente uno dei bersagli più graditi ed ambiti.

Comunque vada, il matrimonio è finito. Comunque vada, sta nascendo una nuova ipotesi politica.

Nella galassia berlusconiana per loro non c’è più posto, questa destra può solo tentare la carta di una nuova formazione politica, fuori dalle categorie del secolo scorso, fondata sulla legalità repubblicana, sul rispetto delle istituzioni, dell’identità nazionale.

«Quanto voti potrebbero prendere», chiede l’amico che continua a credere che tutto si possa pianificare a tavolino, che i partiti siano il frutto solo dei sondaggi e del marketing, che non crede alla possibilità che ciò che ora appare immutabile e invincibile possa disgregarsi all’improvviso.

Eppure se solo lo volesse, Fini potrebbe trovare ascolto non solo nella destra tradizionale, ma anche tra gli incerti e i delusi, tra i nuovi italiani, tra tanti moderati che vorrebbero solo vivere in un paese non condizionato da bande e logge di ogni tipo. Potrebbe persino pescare tra quanti vogliono liberarsi di una anomalia che rischia di soffocare la democrazia italiana, per poi tornare ad una sana e libera dialettica tra schieramenti contrapposti.

Se Fini avesse il coraggio di osare nulla sarebbe più come prima, tutto si rimetterebbe in movimento, non solo a destra al centro ma persino a sinistra perché, a quel punto, sarebbe davvero necessario riunire le molte anime della sinistra in una sorta di grande federazione della solidarietà, della socialità, della libertà, dove diritti civili e questione sociale siano indissolubilmente legati e rappresentati con la necessaria radicalità.

Non sappiamo cosa deciderà di fare Fini, ma siamo sicuri che nell’interesse suo e in quello della Italia, sarebbe meglio che questo divorzio si consumasse ora e subito, con buona pace dei sostenitori della indissolublità del matrimonio, sempre, comunque e dovunque.