Sallusti. Lunedì al Senato la Chiti-Gasparri, vendetta dei politici

di Marco Benedetto
Pubblicato il 27 Ottobre 2012 - 16:59 OLTRE 6 MESI FA

La legge salva Sallusti, o anche Chiti – Gasparri,  evolve in una legge bavaglio ogni giorno di più. Si profilano meglio i due corni di una manovra repressiva della libertà di stampa, dei quali il primo è appunto la Chiti – Gasparri e il secondo è lì in attesa  nel cassetto del ministro della Giustizia Paola Severino, la nuova versione aggiornata del vecchio bavaglio made in Prodi e Berlusconi.

Ferisce che due uomini come Vannino Chiti e Maurizio Gasparri, con una storia politica di tutto rispetto e sempre personalmente attenti al valore e al significato della libertà di stampa per la democrazia, vogliano ora legare il loro nome a una legge così vergognosa.

Ci sono stati e ci sono abusi, nell’uso delle intercettazioni come nella cronaca in senso più ampio, ma ci sono anche già leggi a sufficienza a tutelare l’onore eventualmente ferito, perché in Italia, Paese dalla querela facile, chi si sente diffamato può scegliere tra rivolgersi al giudice penale, in base a quelle stesse leggi (legge sulla stampa e codice penale) che oggi si vogliono inasprire con il pretesto di eliminare la previsione del carcere; e può anche rivolgersi al giudice civile, chiedendo cifre talvolta iperboliche che di solito l’equilibrio e il buon senso dei magistrati riduce, in caso di condanna, a un ventesimo e anche più.

Ma l’Italia è il Paese delle emergenze e delle leggi speciali. Tutto è già previsto, quando si parla di reprimere il “metodo Boffo”, non si pensa che c’è già lo stalking e forse anche le molestie e poi chissà quante altre norme. Ma non basta mai.

I punti chiave della legge sono:

– La diffamazione rimane un reato, anzi un delitto, però la pena principale non è più il carcere ma una multa. Solo che la multa è assai più salata di prima.

– Oltre alla multa hanno inventato anche, oltre al risarcimento dei danni previsto dal Codice, anche “una somma a titolo di riparazione”che parte da un minimo di 30 mila euro, altro che lira simbolica.

– La nuova legge rappresenta un doppio passo positivo in tema di responsabilità oggettiva del direttore, per culpa in vigilando, anche se è una responsabilità che sopravvive ai tempi cupi solo in Italia e poche altre nobili nazioni Se uno ha presente la complessità dei giornali di oggi, su carta, internet, etere, capisce che controllare è impossibile se non affidandosi a una squadra di legali che filtri ogni singola parola.

Ora il direttore non solo è escluso dal carcere ma, se capisco bene quello che leggo, anche dalla previsione più odiosa della Chiti – Gasparri che è il deferimento all’Ordine dei giornalisti e la sospensione conseguente anche  nel caso in cui l’autore dell’articolo rimanga anonimo.

– Poi c’è internet: basta che a uno la notizia non vada bene e può chiedere che sparisca, a prescindere da cosa deciderà il giudice, vanificando una giurisprudenza equilibrata e saggia del Garante della privacy. Non importa che la notizia sia vera. Quando una notizia sia obsoleta e vada tolta non lo decide il giudice o il Garante, ma l’interessato.

E il sito internet deve agire, senza indugi, senza appello, subito, altrimenti ci sono multe e multe e multe. Non mi stupirei che Vallanzasca o Riina o Maniero ordinassero, la parola dà il senso di cosa accadrà, ai giornali di ripulire, azzerare le loro memorie on line. Forse si arriverà a ordinare anche di tagliarle anche dalle copie di carta delle raccolte, forse anche dagli archivi elettronici. La speranza di tutti costoro è che presto o tardi la carta finirà e resteremo un Paese senza memoria.

– La parte più odiosa è quella della sospensione dall’albo professionale, per periodi sempre più lunghi, ma la sostanza rimane una: l’Ordine dei Giornalisti, che è stato per tutti questi anni dopo la sua risurrezione in era repubblicana e democratica strumento di garanzia e di tutela per la autonomia dei giornalisti, viene trasformato in braccio secolare. Automaticamente, senza che nemmeno ci sia stato un processo, l’Ordine viene attivato; se poi il giornalista è condannato, la sospensione consegue.

In materia di diffamazione, come in qualsiasi altro reato certo, ma qui siamo nel mondo delle parole. Per questo possiamo essere certi che, se la Chiti – Gasparri arriverà in fondo, sarà un gran brutto giorno per la democrazia, di cui la libera informazione è un fondamento, in misura superiore, e qui vado contro il luogo comune prevalente oggi, all’onorabilità dei politici. Domani pochi avranno ancora il coraggio di scrivere, forse avranno paura anche di copiare le fotocopie di un verbale.

Spesso capita che si usino parole che sono di uso comune, ma che assumono rilevanza penale perché, per quanto corrette nella sostanza, non lo sono nel gioco di sfumature, pesi e contrappesi del diritto.

Non tutti sono Sallusti o Milena Gabanelli, che tanto conosce i rischi che corre da chiedere la manleva preventiva alla Rai, la maggioranza dei giornalisti sono piccoli per importanza e giovani per età reporter, che, per quanto scrupolosi e attenti e timorosi, sbagliano senza volere attaccare, semplicemente perché scelgono una frase infelice, ambigua. È successo anche a Blitzquotidiano, per una battuta che a me era parsa addirittura simpatetica e spiritosa, di vedere la richiesta di archiviazione del Pm della querela presentata da un importante politico di provincia ribaltata dal Gip.

Né i direttori né gli editori possono sentirsi esentati da una fortissima, acutissima preoccupazione solo perché la cosa pare, ma solo pare, li riguardi solo in parte. Invece, gli editori dei giornali sono apparsi assai freddi, quelli dei libri, che tanto si erano agitati per le intercettazioni, ora stanno in silenzio, a guardare.

La tutela dei giornalisti deve essere in cima ai pensieri dei direttori e degli editori, in ogni caso e comunque, così come dovrebbe essere, e spesso purtroppo non è, anche la repressione di tanta approssimazione, sciatteria, superficialità che costituisce l’elemento principale del malessere verso i giornali da parte del pubblico.

Come si legge sul sito della Camera alta, “il Senato torna a riunirsi lunedì 29 ottobre, con il seguito dell’esame del ddl 3491 sulla diffamazione a mezzo stampa, avviato nella seduta antimeridiana del 24 ottobre”. Forse si voterà, per poi sottoporre il testo all’esame della Camera dei Deputati, ma tutto appare confuso. Secondo una fonte può anche darsi che non se ne faccia più nulla, secondo un’altra fonte voteranno l’articolo uno, quello che eviterà il carcere a Sallusti.

C’è una sola certezza: l’odio verso i giornali, accumulato nella classe politica negli ultimi vent’anni, dai tempi di mani pulite.

Astio e livore fanno da collante in modo trasversale fra i tanti parlamentari, e sono la maggioranza, che ce l’hanno con i giornalisti.

Se Berlusconi era l’estremo del conflitto di interessi, questa legge è il monumento a un conflitto d’interssi tanto gigantesco quanto collettivo, di una intera classe politica, quelle decine di migliaia di persone, che con clientes e sussidiari fanno milioni che vivono sulle nostre spalle, di cittadini non di giornalisti.

Pensiamo solo al Senato: hanno rivelato lo scandalo dei prezzi del bar e del ristorante, hanno rivelato pensioni, vitalizi, prebende, privilegi assortiti. Volete fargliela fare franca? L’ultima seduta del Senato dedicata alla legge è stata in buona parte presieduta da Rosi Mauro, di cui i giornali hanno rivelato i fasti e soprattutto i nefasti: ci vuole Gesù Cristo per porgere l’altra guancia. Come poteva approvare, la Mauro, l’emendamento che proponeva l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, che nella architettura repressiva di tutti ripeto tutti i partiti deve diventare il manganello, il gatto a nove code?

La legge, arricchita dagli inasprimenti auspicati dagli emendamenti, è il collettore di tutti i risentimenti personali: a leggerla controluce c’è quasi da capire l’episodio che è all’origine della singola norma punitiva.

Senza pudore, quasi tutti quelli che ne hanno parlato hanno definito il testo  “completo ed equilibrato”.

Certo non può aver fatto piacere ad Anna Finocchiaro, il giorno in cui molti giornali riportano le sue parole ultimative sulla legge che va approvata così com’è perché è perfetta, leggere sul Giornale diretto da Sallusti che suo marito laggiù in Sicilia è stato rinviato a giudizio per truffa.

Una notizia del genere, con tanto di foto della coppia, sarà ancora possibile con la nuova legge? Potrà ancora restare a disposizione dei cittadini nell’archivio on line dei giornali che l’hanno diffusa?

Con la nuova legge difficilmente sarebbe stato possibile raccontare delle feste dei maiali di Fiorito, dell’elicottero per la sagra del peperoncino della Polverini, dei massaggi serali al Salaria Sport Village di Guido Bertolaso.

Resterà forse una sola possibilità: di citare documenti giudiziari, perché quelli sono documenti pubblici. Forse: perché la probabile e prevista riedizione del bavaglio di Berlusconi e Prodi in versione Severino è già pronta per chiudere il cerchio.

Un po’ di tutela della privacy si può sempre aggiungere.

Solo una mente collettiva accecata dal risentimento, come traspare leggendo i resoconti del dibattito in Senato, può pensare a una pena accessoria così feroce e così anti costituzionale come l’esclusione per sempre dalla professione al diffamatore recidivo. Siamo quasi alla morte civile, all’esilio, alla proscrizione.

Per capirci: Giovanni Guareschi, uno di tre giornalisti italiani dell’età repubblicana finiti in carcere, saldato il suo conto con la Giustizia, chiamiamola così, è tornato a fare il suo lavoro. Con la Gasparri – Chiti avrebbe iniziato un percorso che lo avrebbe portato a scrivere solo libri, questo solo perché, grazie al cielo, non esiste ancora in Italia l’albo degli scrittori di sovietica memoria, ma solo quello dei giornalisti: Stalin ha superato Mussolini, ma nel caso italiano sarebbe troppo facile il collegamento tra i loro ex seguaci e la legge liberticida, perché il consenso è ampio, quasi universale, l’albo d’oro dei pochi che ancora credono nella libertà di stampa è un decimo degli eroi delle Termopili.

Una volta la giurisprudenza era che più la persona era importante, specie se politico, più toccava a lui l’onere della prova.

Oggi siamo arrivati a una proposta in cui più importante è la persona più salata è la multa e il relatore Filippo Berselli l’ha difesa.

Certo, le cose sono molto cambiate negli ultimi vent’anni, la fine della guerra fredda ha sconvolto gli schieramenti, rimescolato le carte.

I giornali sono diventati più aggressivi, meno rispettosi e così gli impotenti proclami di Berlusconi contro i giornalisti da Praga nel 2009 hanno fatto eco alle esortazioni di Massimo D’Alema a non leggere più giornali e guardare solo la Tv, ovviamente il mezzo che riferisce il verbo dei politici senza mediazioni, anzi raccolto dal microfono premurosamente porto da un giornalista dello stesso partito o corrente o sigla sindacale.

Ora per i politici italiani è venuto il momento di finirla. Sallusti è un pretesto e vien da chiedersi perché abbia preferito la strada della galera  a una soluzione alternativa e fuori dal carcere. Forse, viene da pensare, si vedeva Titano che ha liberato i giornalisti dal rischio di prigione.

Solo che ora, invece, Sallusti rischia di passare alla storia per il giornalista che ha portato alla morte del giornalismo in Italia.