Siria sulla via del petrolio da Qatar a Turchia. Ma non è la Libia…

di Pino Nicotri
Pubblicato il 19 Ottobre 2012 - 08:10 OLTRE 6 MESI FA

Che succede in Siria? Perché la Turchia ha reagito a un non chiaro incidente di frontiera prima con bombardamenti rappresaglia e di recente anche proibendo il sorvolo del proprio territorio a tutti gli aerei siriani, compresi i voli di linea? E perché l’emiro del Qatar, Al Thani, dal pulpito della sessantaseiesima sessione plenaria dell’Onu ha invocato un intervento armato almeno panarabo contro la Siria di Assad? Domande che a quanto pare hanno una ben precisa risposta: il Qatar vuole esportare il suo gas servendosi dei gasdotti turchi e il governo di Ankara è d’accordo e mira a che l’accordo diventi realtà. Ma andiamo per ordine.

Nei giorni scorsi il quotidiano tedesco Die Welt ha citato un rapporto dettagliato del Bundesnachrichtendienst (BDN), i servizi segreti tedeschi, il quale rivela che il 95% dei “ribelli” siriani, stimati in poco meno di 15.000 uomini, è in realtà di origine straniera. Quelli siriani sono appena il 5%. Ma la percentuale è destinata a calare ancora perché sarebbero in arrivo altri 5.000 mercenari stranieri, compresi uomini di Al Qaeda, sulla base di accordi tra Paesi occidentali e Arabia Saudita.

Guarda caso, si sta verificando quanto previsto e consigliato al presidente Obama dal think tank Saban Center for Middle East Policy, emanazione della Brookings Institution, che ha sede a Washington. Il Saban Center (si veda: Siria: Usa interessati non alla democrazia ma al petrolio) è composto da personaggi molto bene inseriti nelle istituzioni politico militari Usa, compresa la Casa Bianca e la Cia, e per la Siria suggerisce a Obama la propria “Valutazione delle opzioni di un cambio di regime”.

Sono opzioni che raccomandano la creazione di zone franche e di corridoi “umanitari”. Lo studio del Saban Center afferma: “E’ possibile che una vasta coalizione con un mandato internazionale possa aggiungere ulteriori azioni coercitive ai suoi sforzi”. Ecco spiegato perché lo sceicco Al Thani all’Onu ha invocato l’intervento armato multinazionale.

Dopo l’incidente dei colpi di mortaio siriani caduti aldilà del confine con la Turchia e che ha provocato cinque morti, il parlamento di Ankara ha fulmineamente autorizzato per un anno il governo a scatenare rappresaglie vendicative, puntualmente avvenute. Però nessuno può escludere che quei colpi di mortaio non siano stati sparati proprio dai ribelli “siriani” per spingere a un intervento armato la Turchia e con essa la Nato, che ha fatto la voce grossa contro la Siria perché Ankara della Nato fa parte.

La stessa Nato che fa la voce grossa contro la Siria per un incidente per il quale Damasco si è già scusato, è la stessa Nato che in Afganistan ha provocato la morte di centinaia di civili innocenti in bombardamenti tanto “mirati” quanto grossolani se non del tutto sballati. Che diremmo se un’alleanza politico militare o anche un solo grande Paese minacciasse di rappresaglie i membri della Nato? L’uso continuo di due pesi e due misure non ha mai portato a nulla di buono. E ora ci risiamo.

Al Thani è impegnato da tempo nel sostenere con soldi, armi e istruttori militari il ramo più fanatico dei ribelli siriani, vale a dire i salafiti wahabiti. Al ramo wahabita dell’islam appartengono anche gli Al Saud, cioè la famiglia reale padrona dell’Arabia Saudita. Già prima dell’incidente con la Turchia il padrone del Qatar, che l’anno scorso ha sostenuto anche con un contingente militare i ribelli in Libia, ha invocato l’intervento militare di un’alleanza dell’intero mondo arabo contro la Siria.

Ovviamente per “portare la democrazia”, che però il Qatar di Al Thani non conosce neppure da lontano, come non la conoscono neppure da lontano le varie monarchie del Golfo Persico, né il Kuwait, per “liberare e democratizzare” il quale è già stata fatta la prima guerra contro l’Iraq dagli Usa di George Bush padre.

Il Qatar infatti è retto da “una monarchia assoluta islamica”. Il parlamento non esiste e non esistono partiti politici, vietati per legge. L’attività politica come la intendono le democrazie occidentali è vietata. Idem le associazioni private di qualunque tipo.

Grande produttore di gas e petrolio, il Qatar misura circa 15.000 chilometri quadrati, quanto Lazio, Umbria e Toscana messe assieme, e conta una popolazione di circa 1.700.000 abitanti. Il suo prodotto interno lordo (Pil) è di circa 240 miliardi di euro, superiore a quello della Grecia ed eguale a un ottavo circa di quello italiano e macina incrementi dell’ordine dell’ 8% annuo. Per ricchezza pro capite il Qatar è il secondo Paese al mondo: circa 120.000 dollari ad abitante. Una vera pacchia. In apparenza.

La realtà però è che un’unica famiglia, gli El-Thani, del ceppo che costituisce circa il 40% della popolazione autoctona, oltre a governare il Paese possiede il 95% della ricchezza nazionale. Perciò i calcoli vanno rifatti e precisati, per scoprire che, pur essendo impegnato l’emiro a investire per migliorare le infrastrutture civili, la situazione è tuttora la seguente:

– i 240 miliardi del PIL vengono divisi tra i 224 membri della famiglia reale Al Thani,

– che poi spende il 25% del Pil in armi, con l’Italia secondo fornitore dopo I ‘Inghilterra;

– al resto del Qatar, vale a dire al 99,99% della popolazione, di quel Pil ben di Dio va solo il 4,8%, grosso modo 12 miliardi di euro;

– ma il 90% di quel 4,8% va agli 8.000 “funzionari governativi con delega reale” che costituiscono la burocrazia.

– i tassi di mortalità infantile sono i più alti del mondo, il tasso di denutrizione infantile è il più grande del mondo islamico;

– alle donne è vietato l’accesso al mondo del lavoro;

– l’analfabetismo riguarda il 78% della popolazione;

– non esiste rete ferroviaria;

– non esiste rete di autobus;

– la rete stradale è di soli 1.230 chilometri, il 21% dei quali non asfaltati;

– non esiste rete idrica al di fuori della capitale Doha, ricca di immensi alberghi a 5 stelle;

– nel 75% del territorio abitato non esiste energia elettrica.

Ciliegina sulla torta, la famiglia Al Thani appartiene al ramo mussulmano fondamentalista. Motivo per cui nel Qatar vige la legge coranica nota come Shariya.

L’’emiro possiede il 60 % della emittente Al Jazeera. Anche se quasi nessuno in Europa lo ha detto ad alta voce, il film che deride Maometto e che ha scatenato di recente nel mondo islamico le proteste e i disordini, inclusa anche l’uccisione di un ambasciatore Usa, prima che lo diffondesse Al Jazeera traducendolo in venti lingue era passato inosservato.

Ed è con questo Qatar che la più grande agenzia di stampa italiana, l’Ansa, ha di recente stretto accordi di cooperazione passati però stranamente sotto silenzio. Al Thani cerca di far passare inosservati anche i suoi robusti investimenti in Francia, dove ha fatto shopping comprando la squadra di calcio Paris Saint-Germain di calcio, lussuosissimi hotel di Parigi e in Costa azzurra e decidendo inoltre di investire 50 milioni di euro nelle periferie, peraltro a densissima popolazione musulmana, della capitale.

Nonostante i massicci sforzi, il robusto appoggio del Qatar ai ribelli siriani non è servito a nulla, se non ad aumentare il numero di civili uccisi dall’una e dall’altra parte. Tant’è che lo stesso Al Thani ha dichiarato di recente al quotidiano Al-Rai del Kuwait : “Non esiste altra opzione che prendere la decisione di arrendersi al presidente siriano, Bashar al-Assad“. Preso atto di non potercela fare da solo con l’aiuto dell’Arabia Saudita e di altri Paesi del Golfo, aiuti dietro i quali ci sono anche gli Stati Uniti, Al Thani s’è presentato all’Onu per sollecitare l’intervento militare di una coalizione più vasta e più – come dire? – presentabile.

Veniamo ora alla domanda più importante: perché Al Thani vuole scalzare Assad così come ha aiutato a scalzare Gheddafi? Tale domanda se l’è posta l’analista economico Felix Imonti sul sito specializzato Oilprice.com ed è stata rilanciata dal blog di Joshua Landis ‘Syria Commment’.

La loro risposta è in sintesi la seguente: dopo i grandi investimenti in Libia, l’emirato di Al Thani è ancora una piccola enclave del Golfo Persico e la vicina e potente Arabia Saudita è un ostacolo all’espansione delle sue esportazioni di gas naturale verso il mercato europeo, per raggiungere il quale gli oleodotti e i gasdotti devono passare appunto per il territorio siriano. Imonti sostiene che nel 2009 un tentativo di raggiungere l’Europa tramite la rete del Nabucco fu stoppato proprio da Riad perché gli Al Saud non vedono di buon occhio “il piccolo ma più rumoroso vicino”. E così il Qatar è costretto a esportare il suo gas dopo averlo liquefatto, è anzi il primo esportatore al mondo di gas liquefatto.

Si potrebbe ricorrere ai gasdotti della Turchia già pronti per ricevere il gas del Qatar, ma la Siria di Assad è un ostacolo come lo sono gli Al Saud, che però sono intoccabili mentre Assad non lo è. I malumori sono cresciuti quando nel 2009 è stato scoperto un nuovo grande giacimento di gas nel mare davanti a Siria, Libano, Cipro e Israele. Per il Qatar è diventata molto forte la tentazione di inserirsi nel business e soprattutto nella rete dei gasdotti turchi, cosa che farebbe comodo anche alla Turchia.

Ecco spiegato perché la Turchia e il Qatar vogliono cacciare Assad. Nulla di personale, ma gli affari sono affari. Il problema però è che in Siria non ci sono solo siriani e musulmani, ma anche altre robuste minoranze, tra le quali quella dei cristiani. Minoranza, anche quella cristiana, che non vede affatto di buon occhio la strategia degli Al Thani di sostituire Assad con il ramo siriano dei Fratelli Musulmani e tanto meno quella saudita di sostituirlo con un governo in mano ai wahabiti. Tant’è che anche la minoranza cristiana ha deciso di armarsi, dotandosi anche di armi pesanti.