Silvio, Giulio e la bonanza: arriva la “stangata” nelle tasche dei contribuenti

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 10 Gennaio 2011 - 14:07| Aggiornato il 4 Febbraio 2011 OLTRE 6 MESI FA

Da un paio d’anni a questa parte è diventato quasi un ritornello per Silvio Berlusconi & Co.: “Non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani”. A parte il fatto che le mani nelle tasche di certi italiani, gli evasori, non sarebbe male fossero state messe, nel complesso la verità è leggermente diversa. La pressione fiscale nel 2009 ha raggiunto il 43,5 per cento del Pil (più 0,2 rispetto all’anno precedente) mentre sta partendo una raffica di aumenti di tariffe, prezzi amministrati e quant’altro, specie nel campo dei pubblici trasporti e da parte degli enti locali su cui il governo ha scaricato una quota cospicua del gravoso compito di mantenere in equilibrio i conti pubblici. E questi nuovi balzelli alle orecchie dei cittadini necessariamente suonano come l’ennesima stangata. Si può aggiungere che la spremitura è stata mitigata da una politica accomodante sul debito pubblico che a dicembre 2010 ha superato i 1.867 miliardi e quest’anno sfiorerà il 120 per cento del Pil, il doppio del limite massimo previsto dalla Ue e una percentuale 15 (dicesi quindici) volte superiore a quella del paese ultimo entrato nell’area euro, l’Estonia.

Messi i puntini sulle “i”, si può anche convenire che l’attuale governo del Cavaliere non ha varato terribili provvedimenti all’insegna delle lacrime e del sangue per i contribuenti. Parrebbe un riconoscimento non di poco conto, considerato che il governo è nato mentre era in corso una crisi finanziaria ed economica internazionale che nei mesi successivi s’aggravava assai. Povero Berlusconi, come già era accaduto in passato, la congiuntura confermava che il suo fattore “C” non era in grado di competere con quello che ha accompagnato Romano Prodi nei suoi anni di governo (limitatamente all’andamento dell’economia, s’intende). Ma non tutto il male vien per nuocere: il vecchio adagio calza a pennello per descrivere l’effettiva situazione in cui si è trovata la coppia (scoppiata?) Berlusconi-Tremonti in questa prima metà di legislatura. Da un lato, infatti, vi è la crisi, internazionale e interna, con tutto quel che di negativo significa per la finanza pubblica, in primis una tendenziale flessione delle entrate fiscali. Ma in questo periodo si è verificata anche una circostanza che ha giocato enormemente a favore del contenimento della spesa pubblica e che ha consentito al “divo Giulio” (Tremonti) e al suo boss di presentarsi se non come risanatori dei conti almeno come statisti responsabili e abbastanza accorti nel tener lontani i rischi di un serio peggioramento del disavanzo. Di che si tratta? Della riduzione dei tassi d’interesse verificatasi a partire dall’autunno del 2008.

Della montagna di debito pubblico prima ricordata, una parte sostanziosa è coperta con titoli di Stato (circa 1.500 miliardi). L’esborso per il servizio di questo debito – che oggi ha una vita media di sette anni – rappresenta un’importante voce della spesa pubblica e soprattutto il capitolo principale se si escludono le uscite pressoché incomprimibili costituite da stipendi e pensioni pubblici. Tant’è vero che, al netto degli interessi passivi sul debito, il rapporto tra entrate e uscite nei conti pubblici italiani è in sostanziale equilibrio e in alcuni anni ha presentato addirittura un saldo positivo. Per la difformità delle durate dei titoli pubblici che sono venuti a scadenza fra la metà del 2008 e oggi e anche di quelli di nuova emissione che li hanno sostituiti, nonché per il fatto che una buona fetta dei titoli in circolazione è a rendimento variabile, è complesso fare una stima precisa di quanto lo Stato italiano ha risparmiato negli ultimi trenta mesi a seguito della caduta dei tassi. In generale la riduzione è più rilevante per i titoli a più breve termine. Si tratta comunque di una cifra di svariati miliardi l’anno, non lontana dall’ammontare di una “piccola finanziaria” ma, a differenza di questa, nient’affatto costosa politicamente.

Tanto per avere un’idea delle grandezze in campo: nel 2008 la spesa per interessi è ammontata a 81,3 miliardi, l’anno dopo si è attestata a 71,4 miliardi (cioè quasi dieci miliardi in meno). Nel 2010 la bonanza, secondo le stime, dovrebbe essere stata analoga. Per inciso, nell’ultima annata del governo Prodi, quando la crisi internazionale era già manifesta, i tassi non si sono affatto abbassati: il calo è iniziato solo quando le banche centrali si sono accorte che il sistema cominciava a scricchiolare pericolosamente, insomma dopo il crack Lehman Brothers. Nella stessa fase i risparmiatori, non solo quelli italiani, hanno teso a spostare parte dei loro capitali sui più “sicuri” titoli di Stato, ridimensionando gli impieghi in obbligazioni, specie quelle bancarie. Il cosiddetto “cover ratio”, cioè il rapporto tra titoli pubblici richiesti e offerti, è quindi risultato costantemente superiore all’unità e anche questo ha contribuito a una discesa dei tassi sul debito pubblico. Con ogni evidenza il fattore “C” stavolta ha premiato il centrodestra.

Oggi però potremmo essere a una svolta e certe tensioni di cui si parla tra Berlusconi e Tremonti, e tra quest’ultimo e la gran parte dei suoi colleghi ministri, potrebbero aggravarsi. Da qualche tempo si moltiplicano i segnali di risalita dei tassi. Sta avvenendo nelle aste di titoli pubblici di tutti i principali paesi tenutesi fra settembre e questo inizio d’anno: la media dei tassi di interesse europei è passata dal 3,2 di settembre al 4,1. L’euribor, importantissimo tasso di riferimento, da un po’ veleggia attorno all’un per cento (era lo 0,63 a primavera 2010, livello cui era disceso dal 5,29 dell’ottobre 2008). Si tratta ancora di piccole variazioni ma gli esperti sono divisi tra chi ritiene possibile un rapido e sostanzioso aumento e chi invece pensa che per tutto il 2010 gli incrementi complessivamente si manterranno al di sotto di un punto: nessuno sembra invece prevedere che i tassi restino fermi o tantomeno regrediscano. E allora, poveri Berlusconi e Tremonti? Allora i margini per allargare qua e là i cordoni della borsa, per concedere qualche finanziamento a questo o quel ministero, si restringono. Anzi, di più: all’orizzonte si profilano lacrime e sangue (nonché lotte intestine nella già precaria maggioranza). Forse s’avvicina il momento in cui “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, in modo assai più invasivo di quanto non sia stato fatto finora, risulterà inevitabile. La buona stella sta andando a nascondersi dietro le nuvole.