Turchia: sì alla riforma Costituzionale. Magistratura sotto Erdogan, che diremmo in Italia?

Pubblicato il 12 Settembre 2010 - 20:19 OLTRE 6 MESI FA

La Turchia ha detto sì alla riforma della Costituzione. Le modifiche volute con forza dal premier Tayyip Erdogan, alla prova del referendum, hanno ottenuto il 59% dei consensi. La consultazione, in verità, consegna una Turchia spaccata sostanzialmente in due: il nord est ha votato massicciamente per il sì, con punte fino al 70%, nella zona occidentale, però, predomina il no. Alla fine, però, l’ha spuntata il partito islamico al governo Giustizia e Sviluppo (Akp) del primo ministro Erdogan.

In ballo c’erano 26 articoli della costituzione. Ma è sul potere della magistratura e dell’esercito che si giocava davvero la partita. Per l’opposizione, infatti, con il sì consentirà al partito di Erdogan di mettere di fatto la magistratura sotto il controllo dell’esecutivo. Curioso che quel mondo progressista che in Italia simpatizzava per il “sì” non sottolinei con forza adeguata questo aspetto. Proviamo ad immaginare uno scenario simile in Italia. Erdogan, Berlusconi e Putin, del resto, formano un terzetto dalle relazioni molto cordiali. Berlusconi e Erdogan, poi, sono accomunati da un certa insofferenza per la libertà di stampa. Non è esattamente un dettaglio per uno che si propone come “innovatore e modernizzatore”.

La differenza fondamentale tra Erdogan e Berlusconi, piuttosto, sta nel fatto che il premier turco con il proprietario delle maggiori tv del Paese Dogan ha rapporti pessimi e tende a risolverli a forza di multe.  A meno che non si voglia estendere il parallelo associando Dagan al Murdoch in Italia.

Le modifiche riguardano la Corte costituzionale che sarà composta da 17 giudici (e non più da 11) di cui 14 nominati dal capo dello Stato e tre dal Parlamento. La Corte potrà giudicare i massimi gradi militari mentre d’ora in poi saranno i tribunali civili a processare i membri delle forze armate accusati di reati contro la sicurezza nazionale. Novità anche nel mondo del lavoro. L’approvazione del pacchetto di emendamenti alla Costituzione porterà all’abolizione di una clausola che sino ad oggi vietava ad un lavoratore l’appartenenza a più di un sindacato. Via libera, per gli impiegati statali al diritto a negoziare contratti di lavoro collettivi, a scioperare e a fare ricorso contro azioni disciplinari ritenute ingiustificate.

Il risultato, quindi  si presta a letture diverse. C’è chi brinda ad una Turchia che si modernizza e si avvicina all’Europa. A conti fatti, però, la situazione è più complessa. E poi c’è la questione del voto elettronico: non mancano le denunce di difficoltà nel votare. Un modo elegante, da parte del quotidiano Hurryet, per alludere ai brogli.

In gioco, più che la vittoria, c’era il margine della vittoria. Secondo gli analisti, infatti, con questo referendum Erdogan voleva testare la sua forza in vista della candidatura per un terzo mandato. E qui le perplessità non mancano, vista lo stile, non esattamente sobrio con cui Erdogan si libera degli avversari. Qualche mese fa per un golpe fin troppo presunto sono finiti in carcere in 18. Tutti militari, ovviamente. Quegli stessi che oggi vedono mutilato il loro margine operativo.

Il premio Nobel Orhan Pamuk, schierato con il sì, ha detto che “coi militari c’è rischio di golpe”. Vero, forse verissimo. Ci permettiamo, sommessamente, di dire che con Erdogan non si sta proprio tranquilli. Non c’è solo la questione della Freedom Flotilla, ci sono i rapporti amichevoli, forse troppo con la Siria e l’Iran.

La Turchia, insomma, da oggi è un Paese più moderno. Dire che sia paese interamente democratico, però, è un’altra cosa.