Monti costretto a smentire Catricalà. Come se Letta brigasse contro Berlusconi

Pubblicato il 28 Maggio 2012 - 12:14 OLTRE 6 MESI FA

Mario Monti e il suo sottosegretario Antonio Catricalà

ROMA – Non si tratta di normale dialettica istituzionale se il Presidente del Consiglio è costretto di domenica a vergare una nota che smentisce l’operato del suo sottosegretario. E’ successo a proposito di una riforma del Csm “fantasma” che Mario Monti si è premunito di definire “inopportuna e impercorribile“: l’iniziativa per diminuire il peso dei giudici nel giudicare l’operato dei magistrati nei provvedimenti disciplinari non verrà affrontata in Consiglio dei Ministri. Punto. L’iniziativa, “inopportuna”, porta la firma del sottosegretario Antonio Catricalà.

Cioè l’uomo istituzionalmente più vicino a Monti. L’uomo che, come documenta il quotidiano La Repubblica, non più tardi di due settimane fa richiedeva per la secondas volta un parere ufficiale a Corte dei Conti e Consiglio di Stato in merito, e urgente, prima del Consiglio dei Ministri. Di suo pugno e senza consultarsi con il Governo. Nonostante il parere negativo del ministro della Giustizia Severino. Nonostante l’ostilità al provvedimento dello stesso suo “superiore diretto” Mario Monti. Un po’ come se Gianni Letta, considerato l’eminenza grigia dell’ex presidente del Consiglio, avesse lavorato in conflitto con gli interessi politici di Berlusconi, il quale di lui si fidava ciecamente e a lui affidava le questioni più delicate.

Liana Milella di Repubblica ha ricostruito il passaggio di carte “incriminate”, nel senso dello scambio di missive che da una parte portano la firma in calce del sottosegretario Catricalà (Repubblica esibisce le riproduzioni fotostatiche dei documenti) e dall’altra le risposte delle magistrature. Contrarie alle nuove norme, ma obbedienti e solerti a rispondere con un parere alle sollecitazioni del Governo. Liana Milella riferisce anche della collera del vice presidente del Csm Michele Vietti, tenuto all’oscuro delle manovre di Catricalà. Che ora minimizza la portata della frattura, giustificando la bozza da lui preparata come il naturale compimento di indicazioni presenti alla nascita del gabinetto Monti da parte di un gruppo di analisi su merito, trasparenza, responsabilità. Nessuno escluso, anche i giudici.

“Il fine che il ddl vuole perseguire è di assicurare terzietà agli organi disciplinari per evitare la critica, fin troppo estesa nella società civile, di una giustizia domestica e dare trasparenza e certezza di imparzialità all’azione disciplinare”: parole che recano la firma di Antonio Catricalà. Parole, suggerisce Liana Milella, che suonerebbero familiari se pronunciate da Berlusconi o da Alfano: “le soluzioni sembrano fotocopiate da più di una proposta di legge del Pdl”. Il senso della bozza è chiaro: in un’azione disciplinare nei confronti di un giudice, nel consesso giudicante avrà più peso il giudizio dei membri laici (nominati dalla politica) che quello dei membri togati.

Non c’è solo la bozza “inopportuna” a conferma dell’eccessiva autonomia e libertà di movimento del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, di cui si lamentano al Governo. Non è sfuggita, per esempio, l’intervista di qualche giorno fa al Messaggero in cui Catricalà difendeva la scelta del prefetto Pecoraro (poi rimosso) sulla discarica di Roma da localizzare a Corcolle. Definì il sito opzionato “lontano” da Villa Adriana, attirandosi anche le ire del Presidente della Repubblica. A chi risponde il successore di Gianni Letta?