Napolitano, altra intervista contro Berlusconi, stavolta al Corriere: “Non esistono governi tecnici, ma solo politici”

Pubblicato il 14 Agosto 2010 - 09:48 OLTRE 6 MESI FA

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Dall’Unità al Corriere della Sera. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non si ferma neppure alla vigilia di Ferragosto e nonostante tutte le polemiche scaturite dalle sue dichiarazioni sul voto anticipato sceglie di concedere un’altra intervista.

Ancora una volta Napolitano dice una cosa profondamente giusta, ne dice una quanto meno discutibile, ne fa una sbagliata.

La cosa giustissima è che le elezioni anticipate le decide solo il presidente della Repubblica, dopo avere esperito una complessa procedura dettata dalla Costituzione, e non certo a comando del primo ministro o del capo di un partito.

Quella un po’ meno giusta è la difesa di Fini. Le cose che dice Napolitano sarebbero corrette se Fini fosse vittima di attacchi a sangue freddo da parte dei berluscones, ma Fini è attaccato dopo che lui a sua volta ha preso posizioni politiche precise e attaccato a sua volta il capo del suo partito. Che poi i modi adottati da Berlusconi siano un po’ da mazziere fascista può essere discutibile, ma è anche vero che mai si è visto un presidente della Camera prendere posizioni pubbliche così plateali contro il suo stesso leader di partito: né ai tempi del centralismo democratico, né a quelli felpati della dc, nemmeno con Irene Pivetti e la nuova Italia che avanzava.

L’errore di Napolitano è di invocare una extra territorialità per Fini senza ricordare che è stato lui a cominciare gli attacchi a Berlusconi, non da presidente della Camera ma da uomo politico.

Quello che proprio non va è che il presidente della Repubblica assuma posizioni di tanto rilievo attraverso interviste ai giornali. Se ritiene che la situazione richieda un suo intervento, deve fare quel che prevede la Costituzione, limitando con precisione gli strumenti di cui può avvalersi: messaggi alle Camere.

Parlare attraverso i giornali di temi che riguardano le istituzioni e i rapporti al vertice della politica italiana è una cosa poco consona per un capo di Stato, che baipassa il Parlamento con uno stile a dir poco berlusconiano. Forse lo fanno in America latina, ma non risulta che lo abbiano mai fatto presidenti americani o presidenti, re e regine europei.

Vero è che dopo le esternazioni di Francesco Cossiga quando era presidente in carica è ammissibile tutto, ma delude che una persona così dignitosa come Giorgio Napolitano scenda anch’essa sulla strada della demagogia stile Berlusconi.

Inutile dire che la nuova uscita di Napolitano ha alimentato nuove polemiche, che è prevedibile siano destinate a rinforzarsi nel prosieguo di questa uggiosa vigilia di Ferragosto.

Nell’intervista al Corriere, il Presidente dà una lezione di diritto costituzionale a Berlusconi e in genere a tutti noi, sostendo una cosa molto molto giusta non esistono governi tecnici che nascano dalla volontà del Capo dello Stato, ma esecutivi, qualunque sia la loro composizione, che nascono dal fatto che il Parlamento dà loro, a maggioranza, la fiducia.

Sabato 13 agosto Napolitano aveva chiesto di fermare le ”rese dei conti” e aveva sottolineato che un ”vuoto politico” e un eventuale ”durissimo scontro elettorale” sarebbero un pericolo per il Paese. Nel colloquio con il Corriere, invece,  il Capo dello Stato chiarisce di essersi ”limitato a far capire a quanti si esercitano in continue congetture sul voto, indicando persino qualche data tra novembre e dicembre prossimi, che è bene che si astengano perché questo non è di loro competenza”.

Non è possibile dire, aggiunge Napolitano, ”in modo sbrigativo e strumentale” che la legislatura si chiude senza che sia chiaro a chi compete davvero dichiararne la fine. ”A queste cose – chiarisce nel colloquio col Corriere – ho reagito”.

Napolitano non entra però nel merito delle polemiche: ”Lascio parlare, io non posso e non debbo fare considerazioni sulla possibile composizione del conflitto interno alla maggioranza”. Ma ribadisce che bisogna smettere con la campagna ”di pura pressione delegittimante” come quella in corso nei confronti del presidente della Camera, perché figura che ”garantisce l’attività legislativa” che ”va preservata da speculazioni e attacchi politici”.

Anche perché, a differenza di ciò che accade per i membri del governo e per il presidente del Consiglio, per i quali ”c’è un luogo dove può avvenire il confronto e dove si possono prendere decisioni, che è il Parlamento” attraverso ”mozioni di sfiducia, o al contrario, voti di fiducia”, per i presidenti delle Camere un simile sbocco non c’è perché ”non esiste una procedura di revoca”.