Pd, le primarie adesso dividono: in aumento il fronte di chi non le vuole

Pubblicato il 18 Novembre 2010 - 21:08 OLTRE 6 MESI FA

Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola

Sono lontani i tempi in cui parlare male delle primarie, nel Pd, era una bestemmia. Dopo la vittoria di Giuliano Pisapia a Milano, nel partito di Bersani diventano ogni giorni più forti i mugugni di chi rinuncerebbe molto volentieri al meccanismo di scelta dei candidati importato dagli Stati Uniti. Dietro i malumori che spingono molti ex entusiasti a ripudiare le primarie c’è una preoccupazione molto concreta: le rilevazioni e i sondaggi che circolano cominciano a mostrare che, nello scontro che si annuncia tra Bersani e Vendola per la scelta del candidato del centrosinistra alle prossime elezioni, non è affatto detto che sarebbe il segretario del Pd a uscire vittorioso.

L’incubo di una vittoria del governatore con l’orecchino, con il clima da resa dei conti che prevedibilmente seguirebbe, spinge più  d’uno a chiedere di spegnere i motori delle primarie finché si è in tempo. La linea ufficiale del partito, però, non muta. Pier Luigi Bersani assicura che non ci sarà ”nessun congelamento” delle primarie, uno strumento previsto espressamente dallo statuto. Il segretario dei democratici ammette però che qualche problema c’è, e infatti, ai giornalisti che lo stuzzicano su questo punto, risponde: ”Non da oggi dico che si deve dare un’aggiustata e lo faremo anche in relazione ai nostri meccanismi statutari. Comunque – precisa – non sarà oggi e in ogni caso alle primarie non rinunceremo mai”.

Parole che tranquillizzano i fautori della prima ora, tra i quali, c’e l’ex premier Romano Prodi, incoronato candidato del centrosinistra da quattro milioni di cittadini. Ma che non nascondono le preoccupazioni che circolano a largo del Nazareno, soprattutto tra l’ala moderata di Fioroni e compagni, che vede nelle primarie un sistema fatto apposta per spostare a sinistra l’asse del Pd. Si tratta di qualcosa di più di una ipotesi, come dimostra una rilevazione compiuta tra gli elettori del Pd a Milano, da cui risulta che il 33 per cento di essi ha scelto il vendoliano Pisapia, mentre solo il 52 per cento ha votato per il candidato ufficiale Boeri.

Le resistenze che cominciano a manifestarsi tra i democratici non sfuggono a Vendola. Il leader di Sinistra e Libertà se le aspettava, tanto è vero che da mesi va chiedendo che si voti per la scelta del candidato premier il prima possibile , nel timore che a qualcuno venga l’idea di bloccare tutto. Gli echi del dibattito suscitato dalla vittoria di Pisapia a Milano gli giungono alle orecchie negli Stati Uniti, dove il presidente della Puglia si trova da qualche giorno. E da New York cerca di stoppare manovre e ripensamenti: lo fa sostenendo che ”il bello delle primarie è che riservano sorprese, non sono buone solo quando ti fa comodo: sono un tentativo di dissequestro da quello schifo che è la politica oggi”.

Il gioco si complica perché, da oggi, c’è un terzo incomodo tra Vendola e Bersani: è il sindaco di Torino Sergio Chiamparino che rompe gli indugi e annuncia di volersi candidare, sicuro di poter battere Vendola (e dubbioso del fatto che possa riuscirci Bersani). Ma per il Pd la scelta dei candidati è fonte di problemi anche a livello locale. Proprio a Torino, la città di Chiamparino,è scoppiato un caso politico che coinvolge l’ex leader Piero Fassino, al quale i vertici del Pd hanno preferito il rettore del Politecnico di Torino Francesco Profumo come candidato sindaco per le elezioni del prossimo anno. Fassino, che aveva già fatto la bocca alla candidatura, non ha gradito. A suo giudizio la scelta di un outsider come Profumo significa, come dimostra l’infelice scelta di Stefano Boeri a Milano, che ”il Pd non ha più il polso dell’elettorato” e che si va verso ”una rinuncia strategica al nord”. Fassino è stato visto parlare concitatamente , nel cortile di Montecitorio, con Bersani e D’Alema: ma, ha poi precisato, l’argomento non era quello delle comunali di Torino.