Pd, Sel, Udc, Fli, Api: 45%, più di Berlusconi. Ma la nuova alleanza i voti li “incolla”?

di Lucio Fero
Pubblicato il 14 Febbraio 2011 - 14:39 OLTRE 6 MESI FA

ROMA-Ci stanno provando e questa non sarebbe una notizia. Ma ci stanno provando sul serio e questa è certo una novità. A mettere insieme un’alleanza elettorale capace di mettere insieme nelle urne più schede elettorali di quante ne possano raccogliere Berlusconi, Bossi e Storace uniti in coalizione di destra. Pdl, Lega e La Destra fanno più o meno 43 per cento, se domani si vota è questo il loro “peso” stimato. Peso sulla cui entità concordano anche le aspettative appunto di Berlusconi, Bossi e Storace. Gli altri stanno provando a fare più di 43 per cento. Con una alleanza, con un proposta all’elettorato che veda insieme il Pd di Bersani (25 per cento circa), la Sel di Vendola (sette per cento), l’Udc di Casini (6 per cento), Fli di Fini (5 per cento), Api di Rutelli e Mpa di Lombardo (circa l’un per cento ciascuno). Fa 45 per cento: più della quota di consenso stimata e stimabile per la coalizione di destra.

Alla nuova alleanza cui stanno lavorando manca l’Idv di Di Pietro. E c’è una ragione, una logica politica ed elettorale per questa assenza. La ragione e la logica sono quelle della ricerca di una “colla” che tenga insieme elettorati potenziali che faticano a sommarsi. In teoria Pd più Sel, più Udc, Fli, Mpa e Api fanno appunto 45 per cento. Ma un elettore del Pd la vota un’alleanza con Fini e viceversa? E un elettore di Vendola la vota un’alleanza con Casini e viceversa? Sommando tutti i segmenti elettorali anti-Berlusconi si ottiene davvero una somma o non accade piuttosto che gli elettorati si elidono e due più due finisce per fare tre? Occorre fare l’alleanza più vasta possibile, vasta al punto di superare la forza della coalizione di destra. Ma non tanto vasta da sembrare agli occhi degli elettorati una marmellata indistinta e indigesta. Di Vendola non si può fare a meno: se non c’è lui non solo viene a mancare il “suo” sette per cento. Ma quel sette per cento si ingrossa: se Vendola resta fuori, la sua Sel si mangia una bella fetta dell’elettorato di un Pd alleato con Casini e Fini. Di Casini e Fini non si può fare a meno. Del loro dieci per cento abbondante, più gli “spicci” di Rutelli e Lombardo. Ma soprattutto non si può fare a meno della loro presenza politica: senza di loro è un’alleanza di sinistra e “giustizialista”, ed è un’alleanza che somiglia troppo all’Unione di infausta memoria presso l’elettorato. Se bisogna inventare una “colla” che tenga insieme l’elettorato di Casini, di Fini, di Bersani e Vendola questa “colla” non può essere quella dell’unione delle sinistre e neanche quella del “partito dei giudici”.

La “colla” che somma e tiene può venire proprio da una “sottrazione”: quella di Di Pietro. Con  l’Idv fuori dall’allenza intorno all’Idv si formerebbe un coagulo di “radicalità militante” in cui confluirebbero anche i piccoli spezzoni della sinistra estrema: la Federazione della sinistra, ciò che resta di Rifondazione…In tutto un sei/sette per cento dell’elettorato sufficientemente piccolo da non impedire alla alleanza che va da Fini a Vendola, passando per Bersani e Casini, di raggiungere “quota 45”, ma sufficientemente grande da mostrare all’elettorato che c’è in campo un’alternativa non di sinistra ma di ragionata “emergenza nazionale”. Ragionata e praticabile perchè può battere Berlusconi senza finire in “zona Fiom”.

Ci sono molte condizioni da assolvere perché la “colla” si formi e attecchisca. Che Vendola si convinca a mollare Di Pietro. Che Fini non si perda mezzo partito. E soprattutto la “colla” non quaglia se il candidato presidente del Consiglio della nuova alleanza in formazione è uno dei leader dei partiti che la formano. Vendola non può essere, non lo vota l’elettorato di centro, per quanto possa essere deluso da Berlusconi o addirittura anti Berlusconi. Bersani non può essere perché non è un minimo denominatore comune ma una mediazione fissata al centro di gravità più basso in quanto ad appeal. Non può essere nemmeno Casini e tanto meno Fini, in entrambi i casi si perde, anzi è impossibile che l’elettorato di sinistra faccia il pieno e si raggruppi intorno ad uno dei due. Serve allora, proprio perché la “colla” tra i vari e diversi elettorati si formi e faccia presa, un candidato premier che sia lui stesso immagine, e se possibile sostanza, della “colla”. Serve Montezemolo o Draghi o un altro con le stesse caratteristiche.

Ci stanno lavorando e si vede. Si vede dal fatto che Casini chiede le elezioni anticipate e altrettanto fa Bersani. Fino a un mese fa le elezioni non le volevano. Si vede dalla irritazione, quasi timore, che Berlusconi e il Pdl manifestano per il fatto che Napolitano, per la prima volta, abbia detto che se continua così la “legislatura è a rischio”, cioè lui può prendere in esame l’ipotesi di sciogliere le Camere. Si vede dal rovesciamento di ruoli e strategia del Pdl e di Berlusconi rispetto a soltanto un mese fa: ora Berlusconi è “parlamentarista” ad oltranza, nervosamente precisa che se lui non è d’accordo sciogliere le Camere è “un golpe” (un altro!). Ottimisticamente annuncia che presto la sua maggioranza alla Camera raggiungerà quota 325 deputati, ma che comunque con 316 si va avanti. Si vede dal fatto che per la prima volta da tanto tempo Berlusconi non si fida delle elezioni: nei video messaggi invoca “il giudizio di popolo” ma nella realtà fa di tutto per allontanarlo.

Ci stanno lavorando e già questo lavorio disturba, inquieta e innervosisce Berlusconi e il Pdl e lascia incerta, o almeno silenziosa, la Lega. Ci stanno lavorando ed è questa la novità, il nodo, la cosa concreta. Molto più delle mutande di Giuliano Ferrara o delle sciarpe bianche delle donne in piazza. Che il lavoro vada a buon fine è tutt’altro che scritto: Fini marcia ma contro voglia, Vendola esita, tentato ma esita. E nessun “Montezemolo” si è detto disponibile. E poi non è detto che quegli elettorati si sommino davvero nell’urna. Però possono farlo, la via elettorale per battere Berlusconi c’è, stretta e tutta da asfaltare. Però più concreta e praticabile, e in fondo più politicamente onesta. di quella giudiziaria e morale.