Regione Lazio, altri sei mesi di Polverini? Anche no

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 8 Ottobre 2012 - 18:56| Aggiornato il 3 Marzo 2013 OLTRE 6 MESI FA
Renata Polverini, governatrice dimissionaria della Regione Lazio (LaPresse)

ROMA – “Quando si dimise Marrazzo, passarono 5 mesi per le urne”: così parlò Renata Polverini, intervistata dalla cronaca di Roma del Corriere della Sera. Dopo un’ubriacatura di presenzialismo tv, per la governatrice dimissionaria della Regione Lazio è arrivato il momento di concedersi alla carta stampata: Messaggero e Corriere, solo nell’ultimo weekend.

È vero: Piero Marrazzo si dimise il 26 ottobre, le elezioni furono indette il 26 gennaio e si andò a votare con altre Regioni italiane il 28 e il 29 marzo. È vero anche, però, che Marrazzo si dimise perché fu scoperta la sua consuetudine con i trans e la coca: un problema umano e di immagine serio, ma circoscritto alla sola figura del governatore. Infatti fu solo Marrazzo a dimettersi, non l’intero Consiglio regionale ad essere sciolto, e “le dimissioni di Marrazzo anche da presidente della giunta durante il periodo di amministrazione ordinaria, hanno eliminato un potenziale conflitto di interessi. Così come il suo successivo ritiro dalla scena politica”, ha spiegato Giuseppe Di Gaspare, professore di Diritto Pubblico alla Luiss.

La Polverini si è dimessa perché la maggioranza che la sosteneva arraffava e mangiava, letteralmente, con i soldi pubblici, la sua giunta non era da meno e le uniche decisioni che sono riusciti a prendere insieme nell’ultimo periodo – in un contesto di crisi, di tagli e di tasse per tutti – sono state quelle sul ristorante dove andare a cenare. Si è dimessa perché il Pdl sta implodendo, diviso fra ex An ed ex Forza Italia, perché il suo rapporto col Pdl non è stato mai facile e di fatto – Fiorito a parte –  non le avrebbe consentito di continuare a governare. Si è dimessa perché sulle grandi questioni come la nuova discarica da scegliere e il piano Casa il suo governo ha oscillato fra il fallimento e il disastro.

Anna Maria Cancellieri, ministro dell’Interno, ha dato un termine: “Si voti entro 90 giorni” e poi, non fosse stato chiaro il concetto, ha aggiunto: “Prima si va alle elezioni e meglio è, anche perché per le regioni non è previsto il commissariamento”.

Polverini e il Pdl invece hanno scoperto un’attenzione per i regolamenti e per il bilancio regionale di cui nessuno, in due anni e mezzo, si era accorto prima. La governatrice dimissionaria al Corriere: “La legge prevede 90 giorni per indire le elezioni e altri 45 giorni per svolgerle. Il tempo massimo è febbraio”. Ma allora si arriverebbe molto vicini alla data delle prossime elezioni politiche e comunali (il mandato di Alemanno scade ad aprile 2013). Quindi, election day per prendersi ancora un altro mese di tempo perché “bisogna vedere se i cittadini si seccano a votare due volte in due mesi”.

Poi l’ex sottosegretario Francesco Giro, deputato e coordinatore del Pdl romano, ci ricorda che senza election day “spenderemmo 30 milioni di euro, uno al giorno per un mese”. Trenta milioni che dovrebbe mettere il governo perché chi amministra ora il Lazio ha scoperto che la Regione non li ha. Non ha i soldi e non ha un candidato, mentre dall’altra parte ha fretta il Pd, che ha puntato su Nicola Zingaretti.

Se andare al voto a dicembre costa, quanto costerebbero al Lazio altri sei mesi di Polverini che la sera va in televisione, predica bene, e la mattina dopo fa nomine, distribuisce incarichi e prebende, approva bilanci, fa passare regolamenti?