La Merkel in Cina per fare export delle industrie tedesche, Berlusconi no ghe pensa lu e i toscani fanno import dei cinesi

di Marco Benedetto
Pubblicato il 19 Luglio 2010 - 01:44| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Merkel e Wen Jiabao: delegazioni tedesca e cinese al lavoro

Il cancelliere tedesco Angela Merkel è tornata a casa, con grande soddisfazione per i risultati conseguiti nella sua cavalcata in estremo oriente, che in quattro giorni le ha fatto visitare tre paesi, Russia, Kazakstan e Cina e festeggiare il 17 luglio il compleanno con la visita all’esercito di terracotta di Qinshihuang, vicino a Xi’an, dove si è conclusa la sua visita in Cina e dove è collocata una fabbrica della Siemens, joint venture tra cinesi e tedeschi.

Era la quarta volta che la Merkel si recava in Cina in cinque anni, dalla sua elezione a Cancelliere. Pensate a Berlusconi o a Prodi e vi sentite male.

Poi però si capisce anche la differenza profonda tra i risultati ottenuti dai tedeschi, la firma di una decina di accordi bilaterali, dalle energie rinnovabili ai camion agli autotreni, destinati a rafforzare i legami tra i due paesi, che già oggi, nei rispettivi continenti, sono il miglior partner commerciale l’una dell’altra. L’anno scorso il volume di interscambi  ha superato i 105 miliardi di dollari e quest’anno la cifra potrebbe essere superata.

La Cina è il più grande paese del mondo. I cinesi sono un popolo orgoglioso anzi orgogliosissimo, sono orgogliosi anche per il loro passato, in oggettivo declino nell’ultimo mezzo millennio, ma oggi in forte spolvero di ripresa. Tutto fa pensare che la prossima guerra mondiale, se ci sarà, sarà fra Cinesi e Americani, con i cinesi che hanno cominciato a riordinare tutte le loro carte per diventare anche una potenza militare mondiale. Era tutto scritto nella lista delle grandi modernizzazioni stilata dal leader davvero massimo Den Xiaoping quando il cavadere di Mao era ancora caldo: in testa all’elenco c’era l’ammodernamento dell’agricoltura, in fondo c’era l’esercito.

La Cina negli ultimi cent’anni è stata un paese aggredito e non aggressore e disporre di un buon esercito dà certamente un senso di maggiore sicurezza a chi si trova tra russi, giapponesi, indiani e coreani, ha subtio quel che ha subito dai giapponesi, è ancora in guerra formalmente con i russi e con gli indiani. Ma l’aggredito può sempre reagire un po’ troppo e allora i ruoli si scambiano.

La Cina è anche il più grande mercato del mondo e forse quello con la maggiore potenzialità di crescita. Non ha le pastoie della democrazia occidendale e nemmeno di quella indiana, anche se all’interno del partito comunista cinese vige una maggiore democrazia di quella che il nostro aspirante dittatore Berlusconi vorrebbe concedere al suo popolo della libertà. Questo consente scelte veloci e rapidi cambi di decisioni.

Ma i cinesi sono molto orgogliosi, perdere la faccia o salvare l’onore possono fare la differenza. Una delle cose che urta di più i cinesi sono gli incontri dei capi di stato stranieri con il Dalai Lama. Un po’ tutti ci sono caduti, perché il Dalai Lama fa chic, farsi fotografare con lui dà punti, nessuno pensa al sistema politico, economico, religioso di puro medioevo che quei monaci buddisti rappresentano. Così la Merkel si è fatta la sua gaffe, ricevendo a Berlino il Dalai Lama nel 2007. Ne sono seguiti tempi cupi.

Sono seguiti anche per l’Italia, quando Walter Veltroni, all’epoca sindaco di Roma, fece anche lui la foto ricordo col Dalai Lama: ma tutti impegnati a seguire le capriole di Berlusconi con Noemi e Patrizia gli italiani non se ne sono accorti.

Anche il presidente americano Barack Obama ha ricevuto il Dalai Lama, e lo ha fatto sfidando apertamente i capi cinesi, ma questo il capo dell’America se lo può permettere, anzi lo deve fare se guarda a come sarà il mondo tra vent’annie se vuol imporre un po’ di rispetto ai suoi princiali azionisti, visto che i cinesi sono i maggiori sottoscrittori del debito pubblico americano. Ma questi poveri eropei, che guardano alla Cina come la loro grande occasione di piazzare qualche turbina e qualche impiantuccio e fare ripartire le loro fabbriche, non possono scherzare col fuoco. Ecco perché il viaggio della Merkel, conclusosi trionfalmente per mega multinazionali come Siemens e Daimler, è stato anche un po’ una andata a Canossa, tra i sorrisi del primo ministro cinese Wen Jiabao, del presidente della Repubblica Hu Jintao e del suo vice Xi Jinping.

Sono state, a giudicare dalle foto diffuse dal sito del China Daily, giornate intense di visite e riunioni, anche con momenti di tensione nei colloqui con gli imprenditori e i capi azienda tedeschi e cinesi. Ma, come si dice, di grande soddisfazione.

Tutta questa tirata non ha lo scopo di dire quanto sono bravi i tedeschi e quanto è brava la Merkel, ma per dire che gli italiani, invece, sono lasciati a stessi, si arrangiano come possono e a volte possono fare errori clamorosi.

Abbiamo visto che la Merkel è stata in Cina quattro volte in cinque anni. Berlusconi, invece, c’è stato una sola volta, nel 2008, per meno di 48 ore, col risultato che i Cinesi, che lo adoravano come imprenditore di straordinario successo, ora lo detestano al punto che quando un leader cinese è venuto in Italia c’è venuto il presidente Hu Jintao, in modo da essere ospite del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che peraltro in Cina non c’è mai stato, mentre il suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi guidò una specie di gita scolastica di politici e imprenditori nel 2004 che brillava per l’assenza del primo ministro Berlusconi.

Non c’è da stupirsi se poi i toscani, guidati dal loro presidente Enrico Rossi , invece di andare a esportare qualcosa in Cina, fossero anche i vitigni del Chianti o il marmo di Carrara, hanno fatto il contrario di quel che han fatto i tedeschi e metteranno il timbro della azienda dei trasporrti pubblici di Grosseto, nota per la sua storia industriale meccanica, su degli autobus elettrici prodotti in Cina ma immatricolati europei grazie a questo cavallino di Troia toscano.

La vicenda sembra quasi un apologo, quelle storie che una volta ti raccontavano per indurti a restare sulla retta via. Questa è da raccontare per capire perché siamo il fanalino di coda del convoglio europeo. A meno di non confortarci con la Grecia.