Bersani su Grillo va a sbattere: Della Loggia, Panebianco e Polito critici col Pd

di Redazione Blitz
Pubblicato il 18 Marzo 2013 - 18:06| Aggiornato il 17 Ottobre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Ernesto Galli della Loggia, Angelo Panebianco e Antonio Polito: tre voci critiche con la rotta seguita dal Pd del “nostromo” Pier Luigi Bersani. E mentre molti affermano che il segretario pd ha segnato un punto a suo favore con la scelta di Laura Boldrini e Pietro Grasso per le presidenze di Camera e Senato, qualcuno dice che lo ha fatto solo per non sacrificare due pedine importanti come Dario Franceschini e Anna Finocchiaro in una legislatura che potrebbe durare quattro mesi, qualcun altro, come i commentatori del Corriere, pensa che per Bersani si rivelerà un boomerang o addirittura l’ultimo atto nella storia settantennale di un partito, il Pci-Pds-Ds-Pd.

È l’idea di Ernesto Galli della Loggia (17 marzo), che vede nei più recenti eventi della cronaca parlamentare il trionfo della “non politica”. E la morte del più importante partito di sinistra italiano:

Con l’elezione alla presidenza delle Camere di Pietro Grasso e di Laura Boldrini, grazie ai voti della coalizione di sinistra animata dal Partito democratico, che li aveva eletti — si consuma definitivamente quella lunga storia della Sinistra italiana che per settant’anni ha avuto al suo centro l’esperienza comunista, e della quale quel partito è stato fino a oggi in qualche modo la prosecuzione.

Una lunga storia, dicevo: che nei decenni passati ha visto già sedere sul più alto scranno di Montecitorio quattro suoi eminenti rappresentanti: Pietro Ingrao, Nilde Iotti, Giorgio Napolitano e Luciano Violante. Basta per l’appunto ricordare quei nomi per misurare l’ampiezza senza misura della frattura che oggi si consuma a sinistra. […]

In sostanza, infatti, nelle biografie degli attuali presidenti del Senato e della Camera non ha il minimo posto la politica; che invece è stata la vita e la passione inesausta degli altri. Intendo la politica come scontro di idee, esperienza di conflitti sociali, come elaborazione di strategie di lotta, come partecipazione ad assemblee elettive e pratica nell’attività deliberativa e legislativa: nulla di tutto questo c’è nel passato di Grasso o di Boldrini.

[…] qui c’è un punto di diversità assoluta rispetto a quella che per decenni, viceversa, è stata la vita concreta (e aggiungo l’ideale di impegno civile) degli uomini e delle donne che si sono riconosciuti nella Sinistra. Alla quale peraltro non risulta che fino a ieri né l’uno né l’altra abbiano mai detto di appartenere. Si può allora forse dire che l’elezione di Grasso e di Boldrini segni non tanto una vittoria dell’antipolitica quanto piuttosto, in senso proprio, della non politica.
È come se quella Sinistra che viene da lontano (e la parte cattolica che da tempo le si è aggiunta) si fosse convinta di non poter più trovare al proprio interno, nella propria storia, né volti, né voci, né biografie capaci di rappresentarla veramente. […]

Rifiutatasi dopo essere stata comunista di divenire socialdemocratica, e sempre in preda all’antica paura di dispiacere a sinistra, la cultura politica del Partito democratico sembra aver smarrito il filo di qualunque identità che si colleghi al suo passato. Sicché oggi le è apparso naturale designare ai vertici della rappresentanza del Paese da un lato un importante membro della magistratura inquirente, dall’altro una apprezzata funzionaria internazionale, impegnata nella difesa dei diritti umani.

Certo, dietro tale designazione c’era evidentemente anche un calcolo politico. Quello che, presentando candidature ben viste a sinistra, il Pd riuscisse finalmente ad agganciare i grillini, nella speranza di portarli domani ad appoggiare il tentativo di un governo Bersani. A tale obiettivo è stato consapevolmente sacrificato vuoi ogni residuo rapporto con il Centro di Monti, vuoi ogni eventuale avvio di negoziati armistiziali con il Pdl e con la Lega.

L’errore capitale del Pd di Bersani è, per Angelo Panebianco (16 marzo), andare a sbattere contro il muro del Movimento 5 Stelle pensando di non farsi male:

Come era prevedibile, il matrimonio fra Pd e Movimento 5 Stelle non si celebrerà. Ma i danni che il Pd ha inflitto a se stesso, per non parlare del Paese, sono già tanti. Nei giorni e nelle settimane che hanno seguito la «non vittoria» elettorale, il Pd è apparso preda di una sorta di cupio dissolvi. La sua immediata apertura di credito a Grillo ha fatto pensare a una nemesi storica. Nel periodo che seguì la Rivoluzione d’Ottobre diversi partiti socialisti finirono per autodistruggersi nel tentativo di inseguire e blandire i movimenti antisistema (comunisti) dell’epoca.
In questi giorni, gli eredi del vecchio Pci si sono genuflessi di fronte a un movimento antisistema che ha la gagliardia e l’energia propria dei nuovi movimenti e che considera il Pd, al pari di tutti gli altri partiti, spazzatura, o giù di lì. Vincolato dalla sua vera, forse unica, identità (l’antiberlusconismo), condizionato dall’antica regola «niente nemici a sinistra», prigioniero di un ristretto gruppo dirigente, ormai sconfitto, che cerca di allontanare nel tempo la resa dei conti con gli avversari interni, il Pd, inseguendo Grillo, ha finito per buttare a mare quasi tutto ciò in cui aveva detto di credere durante la campagna elettorale.

[…] Nuove elezioni immediate a parte, il risultato elettorale lascia aperta una sola strada: il governo del presidente, meglio se garantito da una riconferma di Napolitano al Quirinale. Un governo che faccia poche essenziali cose e che ci riporti subito dopo alle urne. Un governo che vedrebbe l’opposizione del Movimento 5 Stelle, i cui leader, non essendo stupidi, non hanno interesse a contribuire alla governabilità. […] I politici si preoccupano dell’uovo di oggi, non della gallina di domani. In tempi eccezionali, però, far prevalere gli interessi a breve termine significa segare il ramo su cui si sta appollaiati.

Il commento che guarda un po’ più in là delle prossime due settimane è quello meno recente, datato 11 marzo, di Antonio Polito. L’ex giornalista di Repubblica, ex dalemiano ed ex senatore della Margherita propone un’apertura al centrodestra che “ha preso gli stessi voti della sinistra” ma che per ora è distratto dai guai giudiziari del suo padre padrone. Un’ipotesi che potrebbe prendere corpo in vista dell’elezione del presidente della Repubblica:

Che cosa deve fare il Pd? Che cosa gli conviene fare? E ciò che gli conviene, coincide con ciò che conviene all’Italia? Sono domande alle quali è difficile rispondere: il giovane Partito democratico deve trovare in queste ore il senso della sua missione nazionale, o perdersi. Ne è dunque comprensibile il travaglio, e anche l’evidente stato di choc.

Con la ridiscesa in campo di Renzi, le linee possibili sono diventate tre. La prima è quella di Bersani: andare alle elezioni dopo aver corteggiato Grillo. La seconda è quella dello sfidante alle primarie: andare alle elezioni senza aver corteggiato Grillo. Il segretario e il suo gruppo dirigente si muovono infatti come se fossero convinti che i voti del Pd e quelli del Movimento 5 Stelle siano interscambiabili. Gli appelli degli intellettuali di area ne sono la prova. L’idea è che, in realtà, la sinistra ha vinto le elezioni, solo che si è divisa a causa dell’eccessiva timidezza del Pd. Basta dunque riunificarla sotto le bandiere di un maggiore radicalismo. E se Grillo non ci sta a mettersi nel corso della Storia, il popolo capirà, e i voti in libera uscita torneranno alla casa del padre.

Renzi la vede diversamente. Non solo non crede alla possibilità di un accordo con Grillo, e anzi bolla come «scilipotismo» il retropensiero di quei bersaniani che sperano di staccare qualche stellina dalle 5 Stelle (in realtà di senatori ne servirebbero almeno una quarantina). Ma Renzi crede anche che un accordo non sarebbe nell’interesse del suo partito, perché lo consegnerebbe a un movimento ambiguo, integralista, intriso di sentimenti anti-parlamentari e anti-europei, umiliando così la vocazione di forza di governo per cui il Pd fu fondato. Renzi pensa di poter battere Grillo sul suo stesso terreno, da solo e in campo aperto. Per questo spera che il dialogo fallisca e che si torni alle urne.

[…] Però entrambe le strategie si muovono, per così dire, all’interno di un sistema Grillo-centrico: nella convinzione cioè che sarà lui il competitor della sinistra nel futuro bipolarismo italiano. Entrambe dunque sottovalutano la forza della destra, che pure ha appena preso alle elezioni gli stessi voti della sinistra, pur uscendo da un disastro di governo; e trascurano le ragioni profonde del suo elettorato, non meno interessanti da comprendere di quelle degli elettori 5 Stelle. La terza linea possibile del Pd sarebbe perciò quella di aprire un dialogo con questa parte del Paese e del Parlamento, nella quale ci sono forze interessate più di Grillo a un progetto di salvezza nazionale. Complice il solipsismo giudiziario in cui appare ormai avviluppato il leader della destra, questa terza linea per ora è in sonno nel Pd. Ma le prossime settimane potrebbero risvegliarla; e, con essa, le poche residue speranze di un compromesso istituzionale capace di evitare la rovina comune.