Marco Travaglio: “Piano Rinascita Gelli, papello di Riina e Patto del Nazareno”

di redazione Blitz
Pubblicato il 2 Agosto 2014 - 10:43 OLTRE 6 MESI FA
Travaglio: "Nazareno, patto di Rinascita"

Silvio Berlusconi, Matteo Renzi

ROMA – Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano di sabato 2 agosto, torna a parlare del misterioso patto del Nazareno, l’accordo tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi sulle riforme, ribattezzandolo “il patto di Rinascita”. Una chiara allusione al piano piduista di Licio Gelli, detto appunto “piano di rinascita democratica”, che consisteva in un assorbimento degli apparati democratici della società italiana dentro le spire di un autoritarismo legale che avrebbe avuto al suo centro l’informazione.

L’altroieri si è tenuta nella sede di largo del Nazareno a Roma la Direzione del Pd. Evento utilissimo per due motivi. Il primo: si è scoperto che il Pd, a dispetto delle apparenze, ha una direzione. Il secondo: si è appreso, da un passaggio del lungo monologo del segretario-premier Matteo Renzi in maniche di camicia, che il Patto del Nazareno da lui siglato il 18 gennaio col pregiudicato Silvio B., è nientemeno che “un atto parlamentare”. Ora, per carità, Renzi avrà pure preso il 40,8% – come non perde occasione di ricordare – ma neppure il 100,8% potrebbe autorizzarlo a mentire così allegramente. Non foss’altro che per risparmiarsi una ramanzina della Boschi sulle bugie che, come diceva Fanfani quand’era ispirato, “non servono”.

Gli “atti parlamentari” sono documenti scritti, firmati, stampati, datati, protocollati e soprattutto pubblici, affinché tutti possano prenderne visione. Il Patto del Nazareno, invece, non lo conosce nessuno. A parte i nazareni medesimi, cioè Renzi, B., Letta Zio e Verdini. A una nostra domanda, il premier ci fece sapere che B. non gli aveva chiesto salvacondotti giudiziari, né lui poteva concedergliene. E su questo siamo disposti a credergli. Sia perché, anche volendo, nessun governo, neppure presieduto da B., può far nulla contro una sentenza definitiva. Sia perché sul caso Ruby il salvagente a B. era già arrivato per grazia severina ricevuta. Su tutto il resto, però, regna il mistero. Il documento, che alcuni giurano di aver visto e di cui i due cerchi magici confermano l’esistenza, resta un segreto di Stato: l’unico che Renzi non ha declassificato. Altro che atto parlamentare.

Da giorni il nostro Fabrizio d’Esposito raccoglie notizie e conferme su questo e quell’articolo, comma, codicillo del Patto: oltre alla porcata dall’Italicum, degno rampollo del Porcellum (non a caso scritto da Calderoli ma voluto da B.), e alla boiata del Senato, la cosiddetta riforma della giustizia si fa con B. (che tra l’altro se ne intende), sulle tv non si muove foglia, idem sul conflitto d’interessi. Quando poi Napolitano si deciderà ad andare in pensione, Renzi e il pregiudicato troveranno insieme il successore all’insaputa dei cittadini con l’espressa esclusione di Prodi e di altri antidoti viventi alle larghe intese (i vari Rodotà e Zagrebelsky, molti graditi al popolo del centrosinistra, di Sel e anche dei 5Stelle, già scomunicati dal premier come gufi, soloni e professoroni). Si parla addirittura di Roberta Pinotti, che due anni fa corse alle primarie del Pd per fare il sindaco di Genova e arrivò terza, ma solo perché i candidati erano tre (fossero stati 37, sarebbe arrivata trentasettesima).

Diceva Gesù: “Dai frutti conoscerete l’albero”. Vale anche per il Patto: dai frutti che ha già prodotto possiamo tranquillamente immaginarlo. A metà giugno è pronta per il voto in commissione e poi in aula la legge anticorruzione, cui la Camera lavora da un anno. Renzi, volendo, può migliorarla con gli emendamenti del governo, tipo sul falso in bilancio. Invece dice che il testo non gli piace e che ne presenterà uno nuovo di zecca. Risultato: nuovo testo mai arrivato e anticorruzione addio. Idem per l’autoriciclaggio, pronto da settimane ma bloccato in commissione Giustizia. Poi c’è Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia in quota B. travestito da tecnico, beccato a fare campagna elettorale per due candidati al Csm, poi puntualmente eletti: ai tempi di Letta, Renzi ne avrebbe chiesto la testa. Ora invece, anziché farlo volare giù dalle scale, lo lascia al suo posto.

Il giorno del Patto, Renzi disse ai quattro venti che l’accordo con B. sull’Italicum serviva a dare all’Italia “una legge elettorale che garantisca maggioranze certe per non fare mai più larghe intese”. Da allora non va più neanche alla toilette senza consultare Arcore, anzi Cesano Boscone, in base a un papiro segreto che ha commissariato l’Italia intera. E inperfetta continuità con 40 anni di democrazia a sovranità limitata, che non può rispettare le leggi scritte a partire dalla Costituzione, perché deve obbedire a quelle occulte: il Piano di Rinascita di Gelli, il papello di Riina e ora il patto con un tizio che conosce bene gli altri due.